Vaticano
Viaggio in Africa e anno giubilare. La risposta di Francesco
L'Osservatore Romano
Già da queste sintetiche e crude statistiche si può capire l’assoluta centralità del viaggio di Francesco in questo tragico tornante della storia. Per almeno tre motivi.
In primo luogo, perché questa «guerra mondiale a pezzi», evocata profeticamente da Francesco sin dall’inizio del suo pontificato, si configura ormai come una vera e propria guerra contro l’umanità: un’umanità innocente, colpevole solo di abitare i luoghi degli attentati. Questa follia terroristica, questo delirio che uccide uomini e donne inermi con la presunzione di richiamarsi a un dio onnipotente, non può avere, in nessun modo, alcuna forma di giustificazione sociale, culturale, religiosa e politica.
In secondo luogo, perché si tratta di una guerra di tipo nuovo, quasi una “guerra liquida”, dove il terrore e la morte esplodono all’improvviso, senza campi di battaglia definiti e con eserciti che si formano e si sciolgono repentinamente, come se fossero apparentemente invisibili. Nulla, però, è invisibile all’occhio sapiente di Dio. E il suo giudizio insindacabile sugli uomini si baserà sulla capacità di ogni persona di generare amore e non certamente sulla sinistra abilità di diffondere odio e morte.
In terzo luogo, perché il viaggio del Papa in Africa — anche se preparato e organizzato ben prima degli attentati di Parigi — si configura come una sapiente risposta a questa violenza cieca e sanguinaria che da troppo tempo sta colpendo il mondo intero. Una risposta che potrebbe essere sintetizzata con tre parole: dialogo, periferie, misericordia.
Il dialogo interreligioso ed ecumenico con cui inizierà e si concluderà il viaggio rappresenta, infatti, il modo concreto con cui si sperimenta l’amore e si respinge l’odio. Ai muri di separazione si sostituiscono dei luoghi di ascolto; alle difficoltà di comprensione si avvicendano dei ponti di amicizia e di incontro.
Le periferie, invece, sono uno dei grandi temi di questo pontificato. E l’Africa è, senza dubbio, la più grande periferia del mondo moderno. Una periferia dove risiede, accanto a miserie inenarrabili e guerre fratricide, quella speranza tipica dei popoli giovani. I quali vivono la fede in modo autentico e pieno, come la vedova della parabola che getta nel tesoro del tempio tutto quello che possiede.
E infine la misericordia. Dall’Africa inizierà questo anno giubilare. Un anno che si configura come un kairòs, ovvero come una preziosa opportunità. Un’opportunità per cambiare rotta, per invertire ogni statistica di morte e per immetterci nella strada indicata da Pietro: quella della conversione pastorale.
L'Osservatore Romano, 22 novembre 2015
Viaggio in Africa e anno giubilare. La risposta di Francesco
L'Osservatore Romano
(Gualtiero Bassetti) C’è un dato drammatico, tra i tanti che sono stati diffusi in questi giorni dopo i disumani attentati di Parigi. Un dato che merita una profonda attenzione, perché attribuisce al prossimo viaggio del Papa in Africa un significato importantissimo: nel corso del 2014, in tutto il mondo, si sono registrati oltre 13.000 atti terroristici che hanno provocato più di 32.ooo morti. È stato l’anno peggiore dal 2001 a oggi. E i luoghi dove si è maggiormente concentrato questo buco nero di violenza e orrore sono l’Asia e l’Africa. In Nigeria, in particolare, secondo uno studio del Global Terrorism Index, opera il gruppo eversivo più pericoloso, Boko Haram, che ha causato la morte di più di 6.600 persone.
Già da queste sintetiche e crude statistiche si può capire l’assoluta centralità del viaggio di Francesco in questo tragico tornante della storia. Per almeno tre motivi.
In primo luogo, perché questa «guerra mondiale a pezzi», evocata profeticamente da Francesco sin dall’inizio del suo pontificato, si configura ormai come una vera e propria guerra contro l’umanità: un’umanità innocente, colpevole solo di abitare i luoghi degli attentati. Questa follia terroristica, questo delirio che uccide uomini e donne inermi con la presunzione di richiamarsi a un dio onnipotente, non può avere, in nessun modo, alcuna forma di giustificazione sociale, culturale, religiosa e politica.
In secondo luogo, perché si tratta di una guerra di tipo nuovo, quasi una “guerra liquida”, dove il terrore e la morte esplodono all’improvviso, senza campi di battaglia definiti e con eserciti che si formano e si sciolgono repentinamente, come se fossero apparentemente invisibili. Nulla, però, è invisibile all’occhio sapiente di Dio. E il suo giudizio insindacabile sugli uomini si baserà sulla capacità di ogni persona di generare amore e non certamente sulla sinistra abilità di diffondere odio e morte.
In terzo luogo, perché il viaggio del Papa in Africa — anche se preparato e organizzato ben prima degli attentati di Parigi — si configura come una sapiente risposta a questa violenza cieca e sanguinaria che da troppo tempo sta colpendo il mondo intero. Una risposta che potrebbe essere sintetizzata con tre parole: dialogo, periferie, misericordia.
Il dialogo interreligioso ed ecumenico con cui inizierà e si concluderà il viaggio rappresenta, infatti, il modo concreto con cui si sperimenta l’amore e si respinge l’odio. Ai muri di separazione si sostituiscono dei luoghi di ascolto; alle difficoltà di comprensione si avvicendano dei ponti di amicizia e di incontro.
Le periferie, invece, sono uno dei grandi temi di questo pontificato. E l’Africa è, senza dubbio, la più grande periferia del mondo moderno. Una periferia dove risiede, accanto a miserie inenarrabili e guerre fratricide, quella speranza tipica dei popoli giovani. I quali vivono la fede in modo autentico e pieno, come la vedova della parabola che getta nel tesoro del tempio tutto quello che possiede.
E infine la misericordia. Dall’Africa inizierà questo anno giubilare. Un anno che si configura come un kairòs, ovvero come una preziosa opportunità. Un’opportunità per cambiare rotta, per invertire ogni statistica di morte e per immetterci nella strada indicata da Pietro: quella della conversione pastorale.
L'Osservatore Romano, 22 novembre 2015