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Vaticano
Timori per il Papa in Africa ma Francesco vuole partire
Il Messaggero
(Franca Giansoldati) La trasferta è a dir poco pericolosa. Tanto che le Nazioni Unite stanno inviando robusti supporti militari a Bangui, poverissima capitale del Centrafrica, per garantire protezione al Papa, per l'ultima tappa del suo tour africano, il 29 novembre. Almeno trecento soldati super equipaggiati ed addestrati in viaggio dalla Costa d'Avorio andranno a rafforzare la missione che dal 2013 sta tentando di impedire un genocidio tra cristiani e musulmani. I servizi segreti francesi nei giorni scorsi hanno scoraggiato il Vaticano dal compiere il viaggio, spiegando che in questo momento il clima appare surriscaldato, lacerato da una guerra civile di stampo tribale ma dai rischiosi contorni religiosi, da una parte le milizie anti-balaka, cristiane, dall'altra le Seleka, musulmane. 
Come al solito la religione, anche in questo caso, c'entra ben poco, gli interessi in gioco sono altri, tuttavia come finisce per essere un comodo pretesto per compiere (da ambo le parti) razzie, stupri,  distruzioni di chiese e moschee, abusi, decapitazioni. Nonostante i rischi Papa Francesco ha fatto  sapere che desidera andare e, così, il viaggio per ora resta in programma, salvo decisioni contrarie  che potrebbero essere prese all'ultima ora, se dovessero non esserci più nemmeno le minime  condizioni di sicurezza. All’equatore la temperatura è assai elevata, e non solo in senso letterale. La  scorsa settimana un casco blu è stato ucciso negli scontri tra le due fazioni rivali, in una zona poco  distante da Bangui. I fatti di Parigi hanno poi complicato il quadro complessivo, senza contare che a dicembre, in Centrafrica, si terranno le elezioni e i disordini in questa vigilia elettorale si  moltiplicano. Al suo arrivo il Papa, in segno di pace, dopo l'apertura della porta della cattedrale, un gesto che anticiperà il giubileo della misericordia, si recherà in moschea.  
L’EVENTO 
L’evento raccoglierà una folla enorme. I preparativi intanto vanno avanti benché siano stati registrati alcuni segnali sinistri. Una decina di giorni fa, alcuni inviati del Vaticano arrivati per effettuare i sopralluoghi necessari per la preparazione delle cerimonie, sono stati protagonisti di un insolito episodio. Il gruppo si era recato in moschea per gli accordi organizzativi. Mentre l'imam si  era allontanato per mostrare una parte dell'edificio ad un funzionario, gli altri del gruppo ad un  tratto si sono accorti di essere praticamente circondati da uomini che con fare minaccioso, urlando  frasi in lingua locale, li avevano avvicinati, alcuni cercavano anche di strattonare, altri scandivano  grida. Il trambusto è durato qualche minuto. Fortunatamente è arrivato l'imam che è riuscito a portare fuori dall'edificio le persone. Passato lo spavento, la direttiva di andare avanti con l'organizzazione ha preso il sopravvento.  
Bergoglio sa bene che il gesto simbolico di entrare in una moschea avrebbe una valenza positiva.  Tuttavia è anche consapevole dei rischi. In Vaticano fanno sapere che naturalmente potrebbe  decidere di cancellare la tappa se vi fossero pericoli certi per la folla, per la gente. Una volta in aereo, tornando da un viaggio, ebbe a dire, a proposito degli attentati: «Il migliore modo per rispondere è la mitezza, essere mite, umile, come il Padre, senza fare aggressioni. A me  preoccupano solo i fedeli, mi preoccupano i fedeli, ho paura per loro, ma io ho un difetto, una bella  dose di incoscienza». Bergoglio aggiungeva che se mai gli dovesse accadere qualcosa avrebbe  chiesto la grazia di non soffrire «perché non sono coraggioso di fronte al dolore».