Vaticano
Sull’ascetica dell’uomo d’azione. Il manuale da consultare è la coscienza
L'Osservatore Romano
Sull’ascetica dell’uomo d’azione. Il manuale da consultare è la coscienza
L'Osservatore Romano
Il libro. Pubblichiamo due estratti tratti dal libro "Ascetica dell’uomo d’azione" a cura di Michele Dau (Roma, Castelvecchi, 2015, pagine 134, euro 16,50). Pubblicato per la prima volta nel 1948 su iniziativa di Montini, il volume raccoglie le riflessioni di Sergio Paronetto (1911-1945). Il primo estratto è la prefazione scritta dallo stesso Montini il 24 agosto 1948, il secondo è una parte dell’introduzione alla nuova edizione.
(Giovanni Battista Montini) Chi ha gusto e amore per le esperienze spirituali autentiche del nostro tempo leggerà volentieri queste pagine. Non le respingerà, scorgendo ch’esse contengono solo pochi frammenti d’una storia interiore, troppo priva di riferimenti biografici ed esteriori per essere a sufficienza ricostruita e compresa; non le classificherà frettoloso fra le pubblicazioni di circostanza, dovute alla pietà di chi piange la morte dell’Autore precocemente scomparso; non pretenderà ricavare da essa una visione compiuta né d’un’anima, né d’un sistema di pensiero, né d’un momento storico, non sufficientemente elaborate come sono, né fra di loro abbastanza collegate; ma l’intenditore di documenti spirituali, il collezionista di parole vere e vive, l’amatore di testimonianze genuine del mondo nuovo, che intorno a noi si evolve e si afferma, scoprirà subito che questo libretto è prezioso, e lo avrà caro.
Lo avrà caro, perché sgorgato da una sincerità assoluta: sono pagine estratte da un diario e da una corrispondenza che riflettono con perfetta fedeltà il sentimento interiore d’un uomo, ormai maturo per età, per esperienza, per studi a decifrare e a esprimere i più segreti e i più complessi movimenti dello spirito; lo avrà caro, perché tutto rivolto a una laboriosa introspezione, non tanto sollecita di registrare le confuse e inutili fantasticherie soggettive del subcosciente, come sembra spesso intenta a fare certa letteratura e certa arte contemporanea, quanto piuttosto avida di scoprire le sorgenti interiori di quello stupendo, eterno, misterioso fenomeno che si chiama la verità, qua albeggiante in timide e ancor incerte figurazioni, là abbagliante in lucide, feconde, impegnative certezze; lo avrà caro, infine, perché noterà che questo ardito esploratore di se stesso, mentre risveglia nel breve corso della conversazione che il suo scritto, furtivamente strappato al silenzio, ci concede le più varie reminiscenze dei classici dell’analisi autobiografica, non sosta mai in un morbido e sterile narcisismo, non si arresta egoisticamente a se stesso, non si loda, non s’ammira, non si compiange, non si disprezza, non ferma cioè lo sguardo sul quadro puramente soggettivo per contemplare, statico e rassegnato, o vanitoso, le proprie fattezze spirituali, e per cadere con ciò stesso nella noia e nel buio; ma studia, analizza, viviseziona sempre cercando, quasi d’istinto, una trascendenza, un riferimento che supera i confini dell’io, una origine, una ragione e un termine che danno alla luce interiore un panorama ben più vasto, quello dell’universo e di Dio.
Partire da sé per arrivare al tutto: eterno itinerario che avrà sempre la fortuna d’incantare, d’istruire, di consolare i viandanti dell’umano cammino. E in Sergio Paronetto il noto paradigma — dall’Uomo a Dio — assume qualche peculiare caratteristica che rileveremo con benefica gioia, noi che abbiamo condiviso la sorte d’un’analoga esperienza e d’un eguale travaglio.
Paronetto è, in queste sue pagine segrete, un solitario, un meditativo. Si può essere solitari e meditativi nel mondo tumultuoso delle università e della vita economica, intellettuale e politica d’una città come Roma? Fra cento amici e cento impegni? Con l’ansia nel cuore d’un focoso lavoro professionale e d’un più vasto disegno di riforma nazionale e sociale?
Sì, si può essere, egli ci risponde, e ci dimostra come. Lungi dal costituire una distrazione, un’assenza, un ostacolo al colloquio dello spirito, l’esperienza più varia e più intensa della vita moderna per lui presenta materia di riflessione e d’indagine, gli apre davanti le pagine per il suo studio e per la sua preghiera. Assistere a questo ricupero delle facoltà di giudicare, di collegare e definire, di confrontare ed esplorare, di godere infine e quasi purificare e offrire alla suprema celebrazione dell’Essere e dello Spirito, compiuto da un uomo sovraccarico di lavoro, com’era Sergio Paronetto al tempo di questi suoi scritti, può essere assai interessante e istruttivo per il moderno uomo d’azione.
Il quale uomo d’azione potrà desumere anche un’altra ottima lezione dalle confidenze di queste pagine. Egli sa che la comune tendenza dell’attività moderna è la specializzazione, divisione cioè della realtà su cui si opera da quella circostante, e applicazione ad essa dei metodi propri per conoscerla, per utilizzarla: ad essa è legato il nostro progresso scientifico e materiale.
Ma tale tendenza, nell’ordine spirituale, contiene un grave pericolo, che alla fine minaccia di rivolgere a cattive conseguenze e fors’anche a fatale rovina i risultati del progresso stesso; quello cioè di togliere al nostro sguardo la visione d’insieme, l’avvertenza della realtà totale, e la gerarchia dei fini.
Noi parliamo di problemi economici, di problemi tecnici, di problemi scientifici, di problemi artistici, di problemi sanitari, di problemi giuridici, di problemi politici, e così via, come se ciascuno di questi settori del sapere e dell’agire umano fosse bastevole a se stesso, e potesse essere conosciuto e posseduto senza considerare quale sia, alla fine, il settore supremo, a cui tutti, nell’ordine umano, debbono tendere, e da cui tutti derivare certe norme supreme, che insieme li limitano, li collegano, li chiarificano, li sublimano.
Il problema morale è il sommo, che insieme pone e, sotto certo aspetto, contiene anche il problema religioso. Il problema morale soltanto definisce l’uomo per quello ch’egli veramente è; e se tale problema sfocia nell’infinito, segno è che all’infinito l’uomo è faticante pellegrino.
L’azione dunque ha da essere, innanzitutto e immancabilmente, buona. Dev’essere guidata da moralità positiva. Se no, che vale? Non è forse nulla o nociva? Ma come rendere morale, anzi buona, la nostra febbrile, complicata, tecnicizzata azione moderna? Dove sono i manuali che catalogano la casistica del nostro operare e ne rispecchiano la sensibilità estremamente varia e mutevole?
I manuali non esistono, almeno quali reclamerebbe certa nostra indolenza, che tutto vorrebbe da altri già studiato, risolto, spiegato. Il manuale da consultare è quello che ciascuno compone da sé; o meglio, che da sé scruta e registra: la propria coscienza. Pochi scritti, come queste scarse pagine di Sergio Paronetto, ci sanno parlare della coscienza con pari interesse. Dall’esperienza esteriore alla coscienza psicologica; dalla coscienza psicologica a quella morale: ecco lo schema prezioso che questo pensoso uomo d’azione prefigge a se stesso e offre ora agli amici, i quali sapranno valutare nel tormentato rovello di questo osservatore del proprio mondo interiore l’ammonimento e il dono d’una spiritualità quanto mai ambita e moderna. A tanto non si giunge senza una disciplina di pensiero e di sentimento, senza un’onestà di giudizio e di proposito, senza uno sforzo che culmina nel dolore e nella preghiera, senza insomma un’ascetica, che qui palesa non solo il suo assiduo tormento, ma subito la sua serenità, la sua forza, la sua attitudine a temprare sguardo e muscoli a più vigoroso operare.
È stato rilevato come l’immenso dramma della guerra e del dopoguerra non abbia generato una sufficiente letteratura di questo tipo intellettuale e morale: forse questo breve documento vivo e insospettato può contribuire a correggere il categorico rilievo. Abbiamo qui un saggio, quanto mai rapido e significativo, che ci introduce in una doviziosa riserva spirituale, ci lascia intravedere la cerchia d’un fervoroso cenacolo, ci stimola a riprendere metodo e discorso, dove Sergio Paronetto li ha lasciati.
E qui nascerebbe il desiderio, ancor più affettuoso che curioso, di far la conoscenza della sua vita, quando egli stesso, inconsapevolmente, ci ha procurato quella parziale della sua anima. Il desiderio sarebbe legittimo, e il soddisfarlo benefico; ma qui basterà al lettore, affinché riverenza e amicizia lo accompagnino nella lettura, il sapere che una veglia, una lunga veglia di rinuncia e di sofferenze, quella che preparò Sergio ancor tanto giovane, alla morte, affinò questo spirito e dettò queste pagine.
***
Referto di un’anima pensante
(Michele Dau) A una lettura odierna, gli scritti di Paronetto sono come un tracciato ecografico, un referto sensibilissimo e infallibile di un sismografo che registra, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, il crollo del fascismo, di quel regime che aveva illuso milioni di italiani, privandoli di libertà fondamentali e trascinandoli in un abisso di dolore, di disperazione, nella tragedia della guerra, nella sofferenza delle persecuzioni di tanti e della umiliante sconfitta della patria.
È un monitoraggio originalissimo dell’animo e dell’intelligenza di un antifascista radicale, che pure occupava con altri posizioni cruciali, nel più completo silenzio pubblico, per il bene della nazione. È come un referto continuo di un’anima pensante, di una coscienza consapevole di tutte le sue sfide e responsabilità, che senza bussole certe era proiettata nell’azione necessaria e irrinunciabile. «Non si può aspettare ad agire solo quando si è ben convinti che lì sta veramente il bene, e il vero e il giusto (...); non si può applicare alla vita una psicologia da burocrati: voler sempre la pezza d’appoggio, essere a posto con la responsabilità, avere magari sempre pronto nel cassetto “il parere tecnico” del direttore spirituale (...), il chiedere alla coscienza agente una puntuale certezza di verità momento per momento possedute, è uccidere la vita, è fermare l’azione, è rinunziare alla nostra vocazione nel mondo».
Non c’è separazione astratta, né fuga nel misticismo supremo ed eroico, né alcuna ricerca di un distacco forzato. Anzi, più gli avvenimenti saranno tragici e duri, più Paronetto, sempre in un agire forte e silenzioso, si impegnerà contro ciò che restava del regime e per la Resistenza. È ampiamente documentata, durante la lunga notte dell’occupazione nazista dell’Italia, la sua azione per evitare la distruzione delle grandi fabbriche e degli impianti produttivi del Paese, lo stesso finanziamento con fondi riservati di nuclei della Resistenza a Roma, l’impegno per la tutela della proprietà pubblica dell’Iri al fine di assicurare che tutti gli asset strategici potessero essere consegnati al nuovo ordinamento libero e democratico per il quale si stava sperando e lottando.
L'Osservatore Romano, 14 novembre 2015
(Giovanni Battista Montini) Chi ha gusto e amore per le esperienze spirituali autentiche del nostro tempo leggerà volentieri queste pagine. Non le respingerà, scorgendo ch’esse contengono solo pochi frammenti d’una storia interiore, troppo priva di riferimenti biografici ed esteriori per essere a sufficienza ricostruita e compresa; non le classificherà frettoloso fra le pubblicazioni di circostanza, dovute alla pietà di chi piange la morte dell’Autore precocemente scomparso; non pretenderà ricavare da essa una visione compiuta né d’un’anima, né d’un sistema di pensiero, né d’un momento storico, non sufficientemente elaborate come sono, né fra di loro abbastanza collegate; ma l’intenditore di documenti spirituali, il collezionista di parole vere e vive, l’amatore di testimonianze genuine del mondo nuovo, che intorno a noi si evolve e si afferma, scoprirà subito che questo libretto è prezioso, e lo avrà caro.
Lo avrà caro, perché sgorgato da una sincerità assoluta: sono pagine estratte da un diario e da una corrispondenza che riflettono con perfetta fedeltà il sentimento interiore d’un uomo, ormai maturo per età, per esperienza, per studi a decifrare e a esprimere i più segreti e i più complessi movimenti dello spirito; lo avrà caro, perché tutto rivolto a una laboriosa introspezione, non tanto sollecita di registrare le confuse e inutili fantasticherie soggettive del subcosciente, come sembra spesso intenta a fare certa letteratura e certa arte contemporanea, quanto piuttosto avida di scoprire le sorgenti interiori di quello stupendo, eterno, misterioso fenomeno che si chiama la verità, qua albeggiante in timide e ancor incerte figurazioni, là abbagliante in lucide, feconde, impegnative certezze; lo avrà caro, infine, perché noterà che questo ardito esploratore di se stesso, mentre risveglia nel breve corso della conversazione che il suo scritto, furtivamente strappato al silenzio, ci concede le più varie reminiscenze dei classici dell’analisi autobiografica, non sosta mai in un morbido e sterile narcisismo, non si arresta egoisticamente a se stesso, non si loda, non s’ammira, non si compiange, non si disprezza, non ferma cioè lo sguardo sul quadro puramente soggettivo per contemplare, statico e rassegnato, o vanitoso, le proprie fattezze spirituali, e per cadere con ciò stesso nella noia e nel buio; ma studia, analizza, viviseziona sempre cercando, quasi d’istinto, una trascendenza, un riferimento che supera i confini dell’io, una origine, una ragione e un termine che danno alla luce interiore un panorama ben più vasto, quello dell’universo e di Dio.
Partire da sé per arrivare al tutto: eterno itinerario che avrà sempre la fortuna d’incantare, d’istruire, di consolare i viandanti dell’umano cammino. E in Sergio Paronetto il noto paradigma — dall’Uomo a Dio — assume qualche peculiare caratteristica che rileveremo con benefica gioia, noi che abbiamo condiviso la sorte d’un’analoga esperienza e d’un eguale travaglio.
Paronetto è, in queste sue pagine segrete, un solitario, un meditativo. Si può essere solitari e meditativi nel mondo tumultuoso delle università e della vita economica, intellettuale e politica d’una città come Roma? Fra cento amici e cento impegni? Con l’ansia nel cuore d’un focoso lavoro professionale e d’un più vasto disegno di riforma nazionale e sociale?
Sì, si può essere, egli ci risponde, e ci dimostra come. Lungi dal costituire una distrazione, un’assenza, un ostacolo al colloquio dello spirito, l’esperienza più varia e più intensa della vita moderna per lui presenta materia di riflessione e d’indagine, gli apre davanti le pagine per il suo studio e per la sua preghiera. Assistere a questo ricupero delle facoltà di giudicare, di collegare e definire, di confrontare ed esplorare, di godere infine e quasi purificare e offrire alla suprema celebrazione dell’Essere e dello Spirito, compiuto da un uomo sovraccarico di lavoro, com’era Sergio Paronetto al tempo di questi suoi scritti, può essere assai interessante e istruttivo per il moderno uomo d’azione.
Il quale uomo d’azione potrà desumere anche un’altra ottima lezione dalle confidenze di queste pagine. Egli sa che la comune tendenza dell’attività moderna è la specializzazione, divisione cioè della realtà su cui si opera da quella circostante, e applicazione ad essa dei metodi propri per conoscerla, per utilizzarla: ad essa è legato il nostro progresso scientifico e materiale.
Ma tale tendenza, nell’ordine spirituale, contiene un grave pericolo, che alla fine minaccia di rivolgere a cattive conseguenze e fors’anche a fatale rovina i risultati del progresso stesso; quello cioè di togliere al nostro sguardo la visione d’insieme, l’avvertenza della realtà totale, e la gerarchia dei fini.
Noi parliamo di problemi economici, di problemi tecnici, di problemi scientifici, di problemi artistici, di problemi sanitari, di problemi giuridici, di problemi politici, e così via, come se ciascuno di questi settori del sapere e dell’agire umano fosse bastevole a se stesso, e potesse essere conosciuto e posseduto senza considerare quale sia, alla fine, il settore supremo, a cui tutti, nell’ordine umano, debbono tendere, e da cui tutti derivare certe norme supreme, che insieme li limitano, li collegano, li chiarificano, li sublimano.
Il problema morale è il sommo, che insieme pone e, sotto certo aspetto, contiene anche il problema religioso. Il problema morale soltanto definisce l’uomo per quello ch’egli veramente è; e se tale problema sfocia nell’infinito, segno è che all’infinito l’uomo è faticante pellegrino.
L’azione dunque ha da essere, innanzitutto e immancabilmente, buona. Dev’essere guidata da moralità positiva. Se no, che vale? Non è forse nulla o nociva? Ma come rendere morale, anzi buona, la nostra febbrile, complicata, tecnicizzata azione moderna? Dove sono i manuali che catalogano la casistica del nostro operare e ne rispecchiano la sensibilità estremamente varia e mutevole?
I manuali non esistono, almeno quali reclamerebbe certa nostra indolenza, che tutto vorrebbe da altri già studiato, risolto, spiegato. Il manuale da consultare è quello che ciascuno compone da sé; o meglio, che da sé scruta e registra: la propria coscienza. Pochi scritti, come queste scarse pagine di Sergio Paronetto, ci sanno parlare della coscienza con pari interesse. Dall’esperienza esteriore alla coscienza psicologica; dalla coscienza psicologica a quella morale: ecco lo schema prezioso che questo pensoso uomo d’azione prefigge a se stesso e offre ora agli amici, i quali sapranno valutare nel tormentato rovello di questo osservatore del proprio mondo interiore l’ammonimento e il dono d’una spiritualità quanto mai ambita e moderna. A tanto non si giunge senza una disciplina di pensiero e di sentimento, senza un’onestà di giudizio e di proposito, senza uno sforzo che culmina nel dolore e nella preghiera, senza insomma un’ascetica, che qui palesa non solo il suo assiduo tormento, ma subito la sua serenità, la sua forza, la sua attitudine a temprare sguardo e muscoli a più vigoroso operare.
È stato rilevato come l’immenso dramma della guerra e del dopoguerra non abbia generato una sufficiente letteratura di questo tipo intellettuale e morale: forse questo breve documento vivo e insospettato può contribuire a correggere il categorico rilievo. Abbiamo qui un saggio, quanto mai rapido e significativo, che ci introduce in una doviziosa riserva spirituale, ci lascia intravedere la cerchia d’un fervoroso cenacolo, ci stimola a riprendere metodo e discorso, dove Sergio Paronetto li ha lasciati.
E qui nascerebbe il desiderio, ancor più affettuoso che curioso, di far la conoscenza della sua vita, quando egli stesso, inconsapevolmente, ci ha procurato quella parziale della sua anima. Il desiderio sarebbe legittimo, e il soddisfarlo benefico; ma qui basterà al lettore, affinché riverenza e amicizia lo accompagnino nella lettura, il sapere che una veglia, una lunga veglia di rinuncia e di sofferenze, quella che preparò Sergio ancor tanto giovane, alla morte, affinò questo spirito e dettò queste pagine.
***
Referto di un’anima pensante
(Michele Dau) A una lettura odierna, gli scritti di Paronetto sono come un tracciato ecografico, un referto sensibilissimo e infallibile di un sismografo che registra, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, il crollo del fascismo, di quel regime che aveva illuso milioni di italiani, privandoli di libertà fondamentali e trascinandoli in un abisso di dolore, di disperazione, nella tragedia della guerra, nella sofferenza delle persecuzioni di tanti e della umiliante sconfitta della patria.
È un monitoraggio originalissimo dell’animo e dell’intelligenza di un antifascista radicale, che pure occupava con altri posizioni cruciali, nel più completo silenzio pubblico, per il bene della nazione. È come un referto continuo di un’anima pensante, di una coscienza consapevole di tutte le sue sfide e responsabilità, che senza bussole certe era proiettata nell’azione necessaria e irrinunciabile. «Non si può aspettare ad agire solo quando si è ben convinti che lì sta veramente il bene, e il vero e il giusto (...); non si può applicare alla vita una psicologia da burocrati: voler sempre la pezza d’appoggio, essere a posto con la responsabilità, avere magari sempre pronto nel cassetto “il parere tecnico” del direttore spirituale (...), il chiedere alla coscienza agente una puntuale certezza di verità momento per momento possedute, è uccidere la vita, è fermare l’azione, è rinunziare alla nostra vocazione nel mondo».
Non c’è separazione astratta, né fuga nel misticismo supremo ed eroico, né alcuna ricerca di un distacco forzato. Anzi, più gli avvenimenti saranno tragici e duri, più Paronetto, sempre in un agire forte e silenzioso, si impegnerà contro ciò che restava del regime e per la Resistenza. È ampiamente documentata, durante la lunga notte dell’occupazione nazista dell’Italia, la sua azione per evitare la distruzione delle grandi fabbriche e degli impianti produttivi del Paese, lo stesso finanziamento con fondi riservati di nuclei della Resistenza a Roma, l’impegno per la tutela della proprietà pubblica dell’Iri al fine di assicurare che tutti gli asset strategici potessero essere consegnati al nuovo ordinamento libero e democratico per il quale si stava sperando e lottando.
L'Osservatore Romano, 14 novembre 2015