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Vaticano
La lotta del papa contro i pettegolezzi
Il Fatto Quotidiano
(Mons. Dario Viganò, Prefetto della Segretaria per la Comunicazione) Non che prima di Francesco non ci fosse la libertà di parola; ma uno dei problemi storici della  Chiesa è sempre stato che anziché dire, si taceva, spostando la questione nella penombra del  “retroscena”, per usare un termine caro al sociologo Joshua Meyrowitz, e demandandola quindi a  forme comunicative distorte.
Il corpo ecclesiale, infatti, non solo è stato e sarà oggetto di interesse da parte di soggetti enunciatori di  rumor , ma fin dalle sue origini al suo interno ne è stato fonte, scadendo a volte nel pettegolezzo.  Lo attestano le vicende delle origini della Chiesa, e lo conferma spesso anche papa Francesco: “Noi  siamo abituati alle chiacchiere, ai pettegolezzi. Ma quante volte le nostre comunità, anche la nostra  famiglia, sono un inferno dove si gestisce questa criminalità di uccidere il fratello e la sorella con la  lingua!”. Il pettegolezzo risponde sempre a un impulso, talvolta persino a una pianificazione. (...)  L’attivazione del  rumor  è da ricercarsi solitamente in un fatto che, pur apparendo credibile, non è  verificato ed è soprattutto portatore di grande impatto emotivo. Inoltre più la catena di trasmissione  dei messaggi è lunga e complessa, più ci si allontana dalla verità, cadendo nella sua distorsione. 
UN ALTRO ASPETTO  rilevante del pettegolezzo è il suo essere un processo collettivo in cui è  difficile distinguere i ruoli degli attori e le pratiche comunicative non sono lineari: il racconto di un  fatto o di un evento viene costruito a partire da schemi cognitivi precedenti o dalle rappresentazioni  sociali del gruppo di appartenenza. È esattamente questo meccanismo che Bergoglio non vuole sia  alimentato e su questo argomento è stato chiaro fin dai primi mesi. Del pettegolezzo ha infatti  parlato nel suo discorso natalizio alla Curia romana, pronunciato il 22 dicembre 2014.  Paragonandola al corpo umano, ha spiegato che “è anch’essa esposta anche alle malattie, al  malfunzionamento, all’infermità”. Successivamente è passato ad elencare le “malattie curiali”: “Sono malattie e  tentazioni che indeboliscono il nostro servizio al Signore”. Una di esse è proprio “la malattia delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei pettegolezzi. Di  questa malattia ho già parlato tante volte, ma mai abbastanza. È una malattia grave, che inizia  semplicemente, magari solo per fare due chiacchiere, e si impadronisce della persona facendola  diventare “seminatrice di zizzania” (come satana), e in tanti casi “omicida a sangue freddo”della  fama dei propri colleghi e confratelli. È la malattia delle persone vigliacche che, non avendo il  coraggio di parlare direttamente, parlano dietro le spalle”. (...) In realtà, Bergoglio non è il primo  Pontefice a esprimersi sul tema del pettegolezzo come male della Curia. Lo aveva già fatto, e  peraltro con toni decisi, lo stesso Benedetto XVI. Dopo settimane funestate dal dolore di numerose  cattive notizie, in un’omelia sul tema della penitenza disse: “Anche ai nostri giorni, molti sono  pronti a “stracciarsi le vesti” di fronte a scandali e ingiustizie –naturalmente commessi da altri –, ma pochi sembrano disponibili ad agire sul proprio “cuore”, sulla propria coscienza e sulle proprie  intenzioni”. La lunga pausa con cui Ratzinger aveva sottolineato l’inciso e il momento scelto per  pronunciare questa frase di certo non erano casuali: erano passati solo due giorni dalle sue  dimissioni, e questa era la sua ultima celebrazione pubblica.