Vaticano
Il segretario di Stato sul viaggio del Papa in Africa. Le religioni insieme contro la violenza
L'Osservatore Romano
Il segretario di Stato sul viaggio del Papa in Africa. Le religioni insieme contro la violenza
L'Osservatore Romano
Quando Francesco toccherà per la prima volta il suolo africano «non potrà non avere negli occhi e nel cuore» le «immagini raccapriccianti» dei 147 studenti uccisi in Kenya ad aprile e dei giovani trucidati a Parigi il 13 novembre. E di sicuro rinnoverà l’appello «che continuamente fa agli appartenenti a tutte le religioni, a non usare il nome di Dio per giustificare la violenza»: se ne è detto convinto il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, nell’intervista rilasciata al Centro televisivo vaticano a pochi giorni dall’inizio del viaggio del Pontefice nel continente.
Il porporato accompagnerà il Papa in Kenya e in Uganda, ma non nella Repubblica Centrafricana, perché dovrà raggiungere Parigi per partecipare alla Cop 21. Nel rispondere alle domande di Alessandro Di Bussolo, il cardinale ha ricordato in proposito le parole di Francesco all’Angelus di domenica scorsa, quando ha spiegato che uccidere in nome di Dio «è bestemmiare. Quindi non è assolutamente rendere lode a Dio, ma offendere in maniera gravissima il nome di Dio e il suo amore per noi, e Dio stesso». Da qui «l’appello a fare delle religioni» ciò che esse «sono e devono essere, cioè operatrici di bene, fattori di riconciliazione, di pace, di fraternità nel mondo d’oggi, in un mondo già lacerato da tanti conflitti di varia natura». E, ha proseguito, «il farlo insieme, mi pare un punto importante. Oggi le religioni devono trovare il modo di lavorare insieme, di collaborare insieme per aiutare l’umanità a diventare sempre più fraterna e solidale. Questo attraverso soprattutto il dialogo interreligioso». Alla successiva constatazione dell’intervistatore che l’Africa costituisce una periferia del pianeta, il cardinale Parolin ha risposto ribadendo come il Pontefice abbia particolarmente a cuore i temi dell’enciclica Laudato si’ e del discorso alle Nazioni Unite sulla difesa dell’ambiente e la lotta contro l’esclusione. Temi, ha aggiunto, «che in fin dei conti sono parte dell’insegnamento tradizionale della dottrina sociale della Chiesa, almeno a partire da Leone xiii, e poi applicati alle diverse situazioni che via via si sono presentate». Essi, ha proseguito il segretario di Stato, «troveranno una particolare risonanza nel continente africano», dove «ci sarà un forte messaggio» affinché nessuno smetta «di lottare contro la povertà, contro l’esclusione», e di assicurare «una vita degna, una vita che rispetti la dignità di esseri umani e di figli di Dio delle popolazioni dell’Africa». Anzi, il porporato ha anche ipotizzato che l’occasione per farlo potrebbe essere a Nairobi, dove «ci sono due organizzazioni delle Nazioni Unite che si interessano particolarmente di questi problemi»: il Programma per l’ambiente (Unep), e quello per gli insediamenti umani (Un-habitat).
Inoltre, ha constatato, «siamo alla vigilia di due avvenimenti importanti: la Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici, che inizierà proprio in coincidenza con la fine del viaggio del Papa, e la decima Conferenza ministeriale dell’organizzazione mondiale del commercio (Omc)», che si terrà a Nairobi nei giorni successivi alla visita del Pontefice. Del resto, ha commentato, «anche queste circostanze vanno nel senso di una ricerca di criteri etici per governare l’economia in maniera equa, in modo tale che i benefici di questa economia possano giungere a tutti e a ciascuno».
Soffermandosi poi sulle altre due tappe in terra africana, l’Uganda e la Repubblica Centrafricana, l’intervistatore ha fatto riferimento all’apertura, a Bangui, della prima porta santa del Giubileo della misericordia. Il cardinale, da parte sua, ha sottolineato che il Paese «ha bisogno di pace e misericordia», e che quello che farà il Papa sarà «un gesto molto bello, anticipando l’apertura della porta santa per la Chiesa universale l’8 dicembre nella basilica di San Pietro». Dunque il Pontefice va nella capitale della Repubblica Centrafricana per «manifestare misericordia, manifestare vicinanza a una popolazione duramente provata per una situazione endemica di povertà e di precarietà, che si è aggravata in ragione del recente conflitto»; una guerra, ha detto, «che ancora perdura» e un «clima di violenze e di ostilità che ancora è presente nel Paese». Perciò quella di Francesco «sarà, oltre che una manifestazione di vicinanza, un incoraggiamento a curare le ferite, un incoraggiamento a superare le divisioni in nome del rispetto e dell’accettazione reciproca, in maniera tale che i gruppi che ora si fronteggiano possano trovare le ragioni per lavorare insieme a beneficio del Paese e del bene comune del Paese».
Insomma, si tratta di un «grande messaggio, un messaggio ancora una volta di dialogo, di accettazione dell’altro, di comprensione delle sue ragioni, di collaborazione in vista di un bene superiore». Perciò, ha aggiunto il cardinale Parolin, «questo messaggio di incoraggiamento il Papa lo rivolgerà anche a tutti coloro che cercano di aiutare il popolo centrafricano a superare questo momento di crisi»: dalle organizzazioni non governative ai vari organismi della comunità internazionale. Sarà «un incoraggiamento ad andare avanti in questa opera di supporto, di sostegno, nonostante tutte le difficoltà e gli ostacoli che possono incontrare».
Infine, riguardo all’Uganda, la domanda è stata sull’attualità della testimonianza dei santi martiri di questo Paese, canonizzati cinquant’anni fa da Papa Montini. A più di un secolo dalla morte, infatti, la loro testimonianza di fede parla ancora all’Africa, ha spiegato il segretario di Stato, «con voce eloquente: basterebbe pensare a quanto Paolo vi disse al momento della loro canonizzazione, mettendo in risalto la qualità della loro fede e le conseguenze della loro fede». Parla, ha chiarito, «nel senso che ci dice che per i valori profondi, che poi per noi cristiani sono la persona Gesù, si è disposti a dare la vita e non soltanto per le cose effimere o per la ricerca di beni passeggeri, il benessere soltanto materiale. Ci sono alcune realtà per le quali si deve essere disposti a dare la vita». E al contempo i martiri ugandesi «ci dicono anche che la fede può diventare il seme, il germe, l’inizio di un umanesimo più pieno e più integrale; e che quindi — ha concluso — la fede diventa anche una motivazione in più, e una spinta in più per costruire una società fraterna, una società pacifica, una società solidale e per cercare davvero il bene di tutti».
L'Osservatore Romano, 21 novembre 2015
Il porporato accompagnerà il Papa in Kenya e in Uganda, ma non nella Repubblica Centrafricana, perché dovrà raggiungere Parigi per partecipare alla Cop 21. Nel rispondere alle domande di Alessandro Di Bussolo, il cardinale ha ricordato in proposito le parole di Francesco all’Angelus di domenica scorsa, quando ha spiegato che uccidere in nome di Dio «è bestemmiare. Quindi non è assolutamente rendere lode a Dio, ma offendere in maniera gravissima il nome di Dio e il suo amore per noi, e Dio stesso». Da qui «l’appello a fare delle religioni» ciò che esse «sono e devono essere, cioè operatrici di bene, fattori di riconciliazione, di pace, di fraternità nel mondo d’oggi, in un mondo già lacerato da tanti conflitti di varia natura». E, ha proseguito, «il farlo insieme, mi pare un punto importante. Oggi le religioni devono trovare il modo di lavorare insieme, di collaborare insieme per aiutare l’umanità a diventare sempre più fraterna e solidale. Questo attraverso soprattutto il dialogo interreligioso». Alla successiva constatazione dell’intervistatore che l’Africa costituisce una periferia del pianeta, il cardinale Parolin ha risposto ribadendo come il Pontefice abbia particolarmente a cuore i temi dell’enciclica Laudato si’ e del discorso alle Nazioni Unite sulla difesa dell’ambiente e la lotta contro l’esclusione. Temi, ha aggiunto, «che in fin dei conti sono parte dell’insegnamento tradizionale della dottrina sociale della Chiesa, almeno a partire da Leone xiii, e poi applicati alle diverse situazioni che via via si sono presentate». Essi, ha proseguito il segretario di Stato, «troveranno una particolare risonanza nel continente africano», dove «ci sarà un forte messaggio» affinché nessuno smetta «di lottare contro la povertà, contro l’esclusione», e di assicurare «una vita degna, una vita che rispetti la dignità di esseri umani e di figli di Dio delle popolazioni dell’Africa». Anzi, il porporato ha anche ipotizzato che l’occasione per farlo potrebbe essere a Nairobi, dove «ci sono due organizzazioni delle Nazioni Unite che si interessano particolarmente di questi problemi»: il Programma per l’ambiente (Unep), e quello per gli insediamenti umani (Un-habitat).
Inoltre, ha constatato, «siamo alla vigilia di due avvenimenti importanti: la Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici, che inizierà proprio in coincidenza con la fine del viaggio del Papa, e la decima Conferenza ministeriale dell’organizzazione mondiale del commercio (Omc)», che si terrà a Nairobi nei giorni successivi alla visita del Pontefice. Del resto, ha commentato, «anche queste circostanze vanno nel senso di una ricerca di criteri etici per governare l’economia in maniera equa, in modo tale che i benefici di questa economia possano giungere a tutti e a ciascuno».
Soffermandosi poi sulle altre due tappe in terra africana, l’Uganda e la Repubblica Centrafricana, l’intervistatore ha fatto riferimento all’apertura, a Bangui, della prima porta santa del Giubileo della misericordia. Il cardinale, da parte sua, ha sottolineato che il Paese «ha bisogno di pace e misericordia», e che quello che farà il Papa sarà «un gesto molto bello, anticipando l’apertura della porta santa per la Chiesa universale l’8 dicembre nella basilica di San Pietro». Dunque il Pontefice va nella capitale della Repubblica Centrafricana per «manifestare misericordia, manifestare vicinanza a una popolazione duramente provata per una situazione endemica di povertà e di precarietà, che si è aggravata in ragione del recente conflitto»; una guerra, ha detto, «che ancora perdura» e un «clima di violenze e di ostilità che ancora è presente nel Paese». Perciò quella di Francesco «sarà, oltre che una manifestazione di vicinanza, un incoraggiamento a curare le ferite, un incoraggiamento a superare le divisioni in nome del rispetto e dell’accettazione reciproca, in maniera tale che i gruppi che ora si fronteggiano possano trovare le ragioni per lavorare insieme a beneficio del Paese e del bene comune del Paese».
Insomma, si tratta di un «grande messaggio, un messaggio ancora una volta di dialogo, di accettazione dell’altro, di comprensione delle sue ragioni, di collaborazione in vista di un bene superiore». Perciò, ha aggiunto il cardinale Parolin, «questo messaggio di incoraggiamento il Papa lo rivolgerà anche a tutti coloro che cercano di aiutare il popolo centrafricano a superare questo momento di crisi»: dalle organizzazioni non governative ai vari organismi della comunità internazionale. Sarà «un incoraggiamento ad andare avanti in questa opera di supporto, di sostegno, nonostante tutte le difficoltà e gli ostacoli che possono incontrare».
Infine, riguardo all’Uganda, la domanda è stata sull’attualità della testimonianza dei santi martiri di questo Paese, canonizzati cinquant’anni fa da Papa Montini. A più di un secolo dalla morte, infatti, la loro testimonianza di fede parla ancora all’Africa, ha spiegato il segretario di Stato, «con voce eloquente: basterebbe pensare a quanto Paolo vi disse al momento della loro canonizzazione, mettendo in risalto la qualità della loro fede e le conseguenze della loro fede». Parla, ha chiarito, «nel senso che ci dice che per i valori profondi, che poi per noi cristiani sono la persona Gesù, si è disposti a dare la vita e non soltanto per le cose effimere o per la ricerca di beni passeggeri, il benessere soltanto materiale. Ci sono alcune realtà per le quali si deve essere disposti a dare la vita». E al contempo i martiri ugandesi «ci dicono anche che la fede può diventare il seme, il germe, l’inizio di un umanesimo più pieno e più integrale; e che quindi — ha concluso — la fede diventa anche una motivazione in più, e una spinta in più per costruire una società fraterna, una società pacifica, una società solidale e per cercare davvero il bene di tutti».
L'Osservatore Romano, 21 novembre 2015