Vaticano
Il cambiamento dentro della Chiesa
La Repubblica
(Agostino Giovagnoli) La "Rivoluzione" di papa Francesco arriverà anche nella Chiesa italiana? È questa la posta in gioco al V Convegno nazionale della Chiesa italiana che si apre domani a Firenze. Ed è una posta più importante di quella connessa a Vatileaks, alle rivelazioni dei "corvi", ai bilanci vaticani. Il convegno - una sorta di Stati generali della Chiesa in Italia - si inserisce in una serie di incontri a scadenza (quasi) decennale cominciata a Roma nel 1976. Erano passati allora solo due anni dalla pesante sconfitta del referendum sul divorzio e, davanti al tramonto della "nazione cattolica", si discusse di "Italia, paese da evangelizzare".
Nel 1985, invece, a Loreto, i cattolici italiani si scontrarono sulle opposte linee della "presenza" (Comunione e Liberazione) e della "mediazione" (Azione cattolica). Ma più importante fu il discorso di Giovanni Paolo II che descrisse la Chiesa come "una grande forza sociale", guardando oltre la Dc e preparando la leadership ruiniana della Cei. A Palermo, nel 1995, preso definitivamente congedo dall' unità politica dei cattolici, Ruini impose un cambiamento profondo, ridimensionando le Caritas diocesane e riducendo l' impegno sociale dei cattolici, per puntare sul "progetto culturale" e sui "valori non negoziabili". Il successivo incontro di Verona si è celebrato nel 2006 quando l' ormai ventennale leadership ruininana si stava esaurendo. Oggi, alla vigilia del convegno di Firenze, si moltiplicano i consigli interessati perché - mentre la divulgazione di documenti riservati viene interpretato come effetto di "confusione" ai vertici della Chiesa - il papa "normalizzi" o "moderi" uno stile di governo solitario e originale. Ma, nominando due "preti di strada", Zuppi e Lorefice, alla guida delle diocesi di Bologna e Palermo - nel prossimo futuro si porrà il problema del vicario del papa a Roma e dell' arcivescovo di Milano - Francesco ha da poco mandato alla Chiesa italiana un forte messaggio in tutt' altra direzione. Il papa, infatti, pone l' esigenza di un cambiamento profondo e, al tempo stesso, rapido. Monsignor Galantino l' ha sintetizzata nel termine sinodalità. È una parola antica e bella (significa "camminare insieme"), che rinvia anche al recente Sinodo sulla famiglia, assunto come modello di confronto intenso e di convergenze ampie (al di là di scontri e di polemiche). Ma già si avverte il tentativo di svuotarla "ecclesiasticizzandone" il significato e identificandola con uno specifico assetto di potere all' interno dell' istituzione ecclesiastica. È stato uno dei limiti della recezione del Vaticano II. Al Concilio, i vescovi europei costituirono la forza trainante del cambiamento e, anche per questo, la sua applicazione è stata successivamente identificata da molti con un forte spostamento di poteri dal papa ai vescovi (collegialità). In quest' ottica, Paolo VI è stato duramente contestato per averla frenata, assegnando al Sinodo funzioni meramente consultive. Tali scelte, però, sono state premessa diretta di quanto sta avvenendo ora, con un papa forza trainante di una Chiesa che spesso fatica a stargli dietro. Oggi molte resistenze al cambiamento vengono dalle chiese locali e si coagulano intorno ai vescovi. Ma sarebbe sbagliato irrigidire questa novità traducendola in termini giuridici e spostando il potere in senso inverso dai vescovi al papa. Si ridurrebbe nuovamente la spinta del rinnovamento evangelico ad un mero aggiustamento ecclesiastico: è l' equivoco spesso sotteso ad un' altra parola bella e antica, la parola "riforma". Francesco vuole invece la "conversione pastorale" e cioè una trasformazione tanto delle abitudini personali quanto delle strutture ecclesiali in funzione dell' evangelizzazione e non dell'"autopreservazione". I diversi ambiti di confronto in cui si articola il convegno di Firenze riprendono parole del testo programmatico del pontificato, l' Evangelii gaudium, ma nei documenti preparatori è quasi assente il termine "povero", il confronto con il quale per Francesco è cruciale. La difficoltà del cambiamento non riguarda solo la Chiesa italiana, è tutta la società che in Italia fatica a cambiare. E, in entrambi i casi, le resistenze maggiori non sono ideologiche, ma frutto piuttosto di inerzia, paura, indifferenza (spesso concentrate nei "livelli intermedi": dalle periferie vengono, al contrario, spinte al cambiamento). In vista di Firenze, c' è chi avverte preoccupato che non si può cambiare tutto subito e che sinodalità significa anzitutto aspettare chi è più lento. I processi di trasformazione sono sempre lunghi, ma se la decisione di avviarli tarda a venire il cambiamento non ci sarà. Nei racconti evangelici la conversione è sempre descritta come un "mutamento di direzione" che si realizza in tempi molto rapidi. E, nel Vangelo secondo Matteo, Pasolini ha rappresentato la conversione con scene di uomini che lasciano le reti e si mettono a correre.
Il cambiamento dentro della Chiesa
La Repubblica
(Agostino Giovagnoli) La "Rivoluzione" di papa Francesco arriverà anche nella Chiesa italiana? È questa la posta in gioco al V Convegno nazionale della Chiesa italiana che si apre domani a Firenze. Ed è una posta più importante di quella connessa a Vatileaks, alle rivelazioni dei "corvi", ai bilanci vaticani. Il convegno - una sorta di Stati generali della Chiesa in Italia - si inserisce in una serie di incontri a scadenza (quasi) decennale cominciata a Roma nel 1976. Erano passati allora solo due anni dalla pesante sconfitta del referendum sul divorzio e, davanti al tramonto della "nazione cattolica", si discusse di "Italia, paese da evangelizzare".
Nel 1985, invece, a Loreto, i cattolici italiani si scontrarono sulle opposte linee della "presenza" (Comunione e Liberazione) e della "mediazione" (Azione cattolica). Ma più importante fu il discorso di Giovanni Paolo II che descrisse la Chiesa come "una grande forza sociale", guardando oltre la Dc e preparando la leadership ruiniana della Cei. A Palermo, nel 1995, preso definitivamente congedo dall' unità politica dei cattolici, Ruini impose un cambiamento profondo, ridimensionando le Caritas diocesane e riducendo l' impegno sociale dei cattolici, per puntare sul "progetto culturale" e sui "valori non negoziabili". Il successivo incontro di Verona si è celebrato nel 2006 quando l' ormai ventennale leadership ruininana si stava esaurendo. Oggi, alla vigilia del convegno di Firenze, si moltiplicano i consigli interessati perché - mentre la divulgazione di documenti riservati viene interpretato come effetto di "confusione" ai vertici della Chiesa - il papa "normalizzi" o "moderi" uno stile di governo solitario e originale. Ma, nominando due "preti di strada", Zuppi e Lorefice, alla guida delle diocesi di Bologna e Palermo - nel prossimo futuro si porrà il problema del vicario del papa a Roma e dell' arcivescovo di Milano - Francesco ha da poco mandato alla Chiesa italiana un forte messaggio in tutt' altra direzione. Il papa, infatti, pone l' esigenza di un cambiamento profondo e, al tempo stesso, rapido. Monsignor Galantino l' ha sintetizzata nel termine sinodalità. È una parola antica e bella (significa "camminare insieme"), che rinvia anche al recente Sinodo sulla famiglia, assunto come modello di confronto intenso e di convergenze ampie (al di là di scontri e di polemiche). Ma già si avverte il tentativo di svuotarla "ecclesiasticizzandone" il significato e identificandola con uno specifico assetto di potere all' interno dell' istituzione ecclesiastica. È stato uno dei limiti della recezione del Vaticano II. Al Concilio, i vescovi europei costituirono la forza trainante del cambiamento e, anche per questo, la sua applicazione è stata successivamente identificata da molti con un forte spostamento di poteri dal papa ai vescovi (collegialità). In quest' ottica, Paolo VI è stato duramente contestato per averla frenata, assegnando al Sinodo funzioni meramente consultive. Tali scelte, però, sono state premessa diretta di quanto sta avvenendo ora, con un papa forza trainante di una Chiesa che spesso fatica a stargli dietro. Oggi molte resistenze al cambiamento vengono dalle chiese locali e si coagulano intorno ai vescovi. Ma sarebbe sbagliato irrigidire questa novità traducendola in termini giuridici e spostando il potere in senso inverso dai vescovi al papa. Si ridurrebbe nuovamente la spinta del rinnovamento evangelico ad un mero aggiustamento ecclesiastico: è l' equivoco spesso sotteso ad un' altra parola bella e antica, la parola "riforma". Francesco vuole invece la "conversione pastorale" e cioè una trasformazione tanto delle abitudini personali quanto delle strutture ecclesiali in funzione dell' evangelizzazione e non dell'"autopreservazione". I diversi ambiti di confronto in cui si articola il convegno di Firenze riprendono parole del testo programmatico del pontificato, l' Evangelii gaudium, ma nei documenti preparatori è quasi assente il termine "povero", il confronto con il quale per Francesco è cruciale. La difficoltà del cambiamento non riguarda solo la Chiesa italiana, è tutta la società che in Italia fatica a cambiare. E, in entrambi i casi, le resistenze maggiori non sono ideologiche, ma frutto piuttosto di inerzia, paura, indifferenza (spesso concentrate nei "livelli intermedi": dalle periferie vengono, al contrario, spinte al cambiamento). In vista di Firenze, c' è chi avverte preoccupato che non si può cambiare tutto subito e che sinodalità significa anzitutto aspettare chi è più lento. I processi di trasformazione sono sempre lunghi, ma se la decisione di avviarli tarda a venire il cambiamento non ci sarà. Nei racconti evangelici la conversione è sempre descritta come un "mutamento di direzione" che si realizza in tempi molto rapidi. E, nel Vangelo secondo Matteo, Pasolini ha rappresentato la conversione con scene di uomini che lasciano le reti e si mettono a correre.