Vaticano
Diocesi di MilanoDal 30 novembre all’11 dicembre Parigi ospiterà la XXI Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop 21). L’obiettivo è quello di concludere, per la prima volta in oltre vent’anni di mediazione da parte delle Nazioni Unite, un accordo vincolante e universale sul clima, che venga accettato da tutte le Nazioni.
Sui risvolti filosofici e spirituali della “conversione” ecologica interviene il Collège des Bernardins di Parigi, antico collegio cistercense, oggi cenacolo culturale e luogo di dialogo, confronto e formazione, che da ottobre ha promosso una serie di incontri preparatori a Cop 21, che si concluderanno a dicembre. A uno di questi appuntamenti, martedì 17 novembre, partecipa il cardinale Angelo Scola, già in passato ospite e relatore alle iniziative del Collège des Bernardins. L’Arcivescovo di Milano interviene con una relazione dal titolo «Le Christ et l’univers».
Intervento del Cardinale Scola
I
«Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono…; eppure il Padre vostro celeste li nutre» (Mt 6,26).
«Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro» (Mt 6,28b-29).
«Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”… Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,31-33).
Senza dubbio per il cristiano il modo più adeguato per parlare di ecologia, ambito in cui si colloca anche la questione climatica, è immedesimarsi con lo sguardo di Gesù sul creato. Sono assai numerosi i testi che lo documentano.
Senza dubbio per il cristiano il modo più adeguato per parlare di ecologia, ambito in cui si colloca anche la questione climatica, è immedesimarsi con lo sguardo di Gesù sul creato. Sono assai numerosi i testi che lo documentano.
A quello citato dal Vangelo di Matteo Sören Kierkegaard ha dedicato uno dei suoi “discorsi edificanti” dal titolo Il giglio nel campo e l’uccello nel cielo[1]. Egli arriva a dire che dobbiamo considerare «sul serio il giglio e l’uccello come maestri»[2] perché il Vangelo non è né talmente spirituale da non potersi servire del giglio e dell’uccello, né così terreno – come suggerisce Padre Marie-Joseph Le Guillou – da non lasciare intravedere un livello ad un tempo realistico e contemplativo. È impossibile ridurre lo sguardo di Gesù sulla natura a poesia o a lirica.
Quel che possiamo imparare resta decisivo per noi uomini post-moderni. Cosa ci insegnano dunque il giglio del campo e l’uccello nel cielo? A cercare prima il Regno di Dio e la sua giustizia, insiste il Vangelo di Matteo. Un atteggiamento che ci conduce a scoprire dietro ogni essere l’atto libero di Dio che crea il mondo. Allora quello che il creato ci fa è un discorso pieno di saggezza.
Da esso gli uomini, che hanno il dono del linguaggio, possono imparare l’amore. L’amore è intessuto di rispetto, perché “possiede nel distacco”.
Nel distacco rispettoso del creato lo sguardo di Cristo ci insegna a far spazio a Dio, al suo regno, cioè al Creatore e alla sua opera di giustizia verso tutte le creature che perciò ci diventano familiari. In questo amore, che non conosce timore, si concentra anche tutta la questione ecologica. Per dirla con Papa Francesco la «spiritualità ecologica»[3] è rispetto di ogni creatura, della sua durata, del suo proprio ritmo. Un rispetto che lascia l’altro essere se stesso. Perfino nella Trinità, circolarmente, l’amore carico di rispetto custodisce il reciproco “lasciar essere” delle tre Persone, nella più radicale delle differenze che vive nella più piena unità.
II
Da me non aspettatevi che faccia una sorta di slalom tra gli stretti paletti della tortuosa pista della questione climatica. Non solo perché me ne manca la competenza, né perché il dibattito è molto più complesso di quanto una certa vulgata voglia farci credere. Per questo vi rinvio alla Lettera enciclica “Laudato sì’” di Papa Francesco, all’Appello del 26 ottobre u.s. di Cardinali, Patriarchi e Vescovi, Rappresentanti delle Conferenze Episcopali continentali, delle diverse parti del mondo, indirizzato al COP21 e a quello, recentissimo, dei Vescovi COMECE. Ciò che più mi sta a cuore è l’evangelico venir prima del Regno di Dio e della sua giustizia. Mi interessa lo sguardo di Gesù sul creato che vede, con amore pieno di rispetto, tutte le cose in trasparenza. Il Suo sguardo ci domanda una conversione radicale alla custodia del creato, indipendentemente dal livello e dalle cause del suo degrado, comunque a tutti noto.
Siamo in miliardi noi uomini a vivere sul nostro bel pianeta, che non è né l’ “olistico gaia vivente”, né un puzzle di tessere confuse in un insieme caotico. E tutti siamo chiamati a guardare l’intero cosmo come Gesù guarda il giglio nel campo e l’uccello del cielo. È superfluo aggiungere che è un compito per il presente e per il futuro, per la nostra e per le prossime generazioni.
In quest’ottica, mi preme anzitutto dire, a partire dalla questione climatica, che il superamento del deprecato dualismo tra antropocentrismo e biocentrismo esige l’affermazione di un principio unificante teorico e pratico, il solo che, senza annullare le diversità, può frenare le perniciose conseguenze di un rapporto distorto tra l’uomo, la famiglia umana ed il creato[4].
La questione della centralità dell’uomo nel creato ha incontrato, soprattutto negli ultimi decenni, non poche critiche. Non sono mancati quanti hanno imputato agli stessi racconti della creazione, contenuti nel Libro della Genesi (Gen 1-2), la responsabilità di un atteggiamento predatorio nei confronti del creato. Al contrario la fede biblica ci fa riconoscere «che noi non siamo Dio. La terra ci precede e ci è stata data»[5]. Di più: la visione cristiana della creazione ci ha permesso di demitizzare smitizzare la natura riconoscendo sia la consistenza ed il valore di ogni essere creato, sia lo specifico dell’essere umano[6].
Certamente l’azione distruttrice del pianeta, ridotto ad una sorta di miniera da sfruttare fino all’ultima possibilità, non ha sempre trovato i cristiani, come gli altri uomini, vigili ed attenti. Essi hanno spesso contraddetto l’invito del Creatore a custodire con cura e sapienza il creato, attraverso la coltura, la cultura ed il culto. Quando hanno agito in tal modo i cristiani hanno tradito il significato ed il valore dell’insegnamento genesiaco.
Da parte di molti movimenti ecologisti attuali, che tanto influsso hanno sulla mentalità dominante, all’antropocentrismo si oppone un biocentrismo radicale che mette sullo stesso piano tutti gli esseri nella biosfera, accordando loro i medesimi diritti. Lo sostengono, sia pure in forme diverse, autori come Paul Taylor, Arne Naess, Tom Ryan, Peter Singer[7]. Ma annullare le diversità non promuove i diritti secondo giustizia e finisce per impedire la realizzazione individuale. Senza questa premessa è impossibile edificare un mondo giusto.
Quella dei cambiamenti climatici come le altre questioni ecologiche – la rottura dei cicli, la distruzione della cappa di ozono, la deforestazione, le piogge acide, la diminuzione delle biodiversità, la desertificazione, la contaminazione dell’atmosfera, dell’acqua e del suolo – non troverà soluzione senza un rapporto rinnovato tra creato e giustizia che, lo ripeto, domanda un principio unificante teorico e pratico rispettoso di ogni creatura.
Ad individuarlo ci aiutano i misteri della fede cristiana. Non solo la fede nel Dio Creatore, ma anche e in modo ancor più definitivo, la fede in Cristo, morto e risorto, giudice dei vivi e dei morti, ricapitolatore di tutto il creato. Infatti, la fede nella vita eterna non implica alcuna disistima per la creazione. «La mèta non è un “altro mondo”, ma è la trasfigurazione di questo. Le realtà terrestri non vanno negate e avvilite, perché saranno con noi nel nostro destino di gloria»[8]. Cosa ci offre una simile certezza? Essa introduce la tensione benefica a quel rispetto che nasce dalla consapevolezza del comune destino di tutti gli esseri. Chiede una custodia premurosa e ordinata del creato. Anche in merito alla questione ecologica la fede cristiana emerge in tutta la sua capacità di integrazione, di unità tra poli che a prima vista sembrerebbero opposti: è l’uomo, uno di anima e di corpo (cfr. Gaudium et Spes 14), nella sua natura di microcosmo, a svelare il destino di trasfigurazione comune a tutti gli esseri.
III
Nel contesto di straordinaria bellezza e di chiara ed universale matrice culturale rappresentato dal Collège des Bernardins, possiamo tentare di rispondere alla domanda circa il principio unitario. Troviamo una via maestra in San Paolo. E, più precisamente, nelle cosiddette “Lettere della prigionia” (Efesini, Filippesi, Colossesi e Filemone).
A partire dai Padri della Chiesa fino all’esegesi contemporanea ci si è molto concentrati sul “Cristo cosmico”, tema chiave di queste lettere, cioè sul rapporto tra Cristo e l’universo. In esse si attribuisce a Gesù Cristo, Colui «nel quale, per mezzo del quale ed in vista del quale tutte le cose sono state create» (cfr. Col 1,15-20), la ricapitolazione finale di tutti gli esseri. Lo sguardo di Gesù sul creato, cui abbiamo fatto riferimento all’inizio, si approfondisce in una forma di possesso nel distacco, quella escatologica finale e definitiva, che assicura a tutti gli esseri, nello stesso tempo, la reale autonoma consistenza e la piena relazione con ogni altro. L’amore rispettoso di Cristo, la sua familiarità con tutte le cose le rende trasparenti a tal punto da manifestarci il Dio che le ha create.
Il creato è in realtà una sinfonia di creature rispettate nella loro diversità singolare e nella loro relazione. Questa è la bellezza.
Per tornare al Cristo cosmico, intorno all’anno ’60 della nostra era Paolo si trova di fronte a qualcosa di simile, nelle sue cause, alla attuale crisi ecologica che «si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi»[9]. Paolo stigmatizza il clima culturale e religioso che ha tentato di utilizzare tutte le mediazioni (le potenze angeliche, le sapienze filosofiche, le visioni) in maniera autonoma, finendo così per oscurare l’unica vera e compiuta mediazione in Cristo nella quale soltanto tutte le altre si compongono armonicamente. Non è del tutto fuori luogo proporre questa lettura dell’odierno contesto culturale. Oggi la tesi che nega la possibilità di conoscere – ovviamente non senza gravi fatiche e passando attraverso errori – una verità che sia universale, e che quindi attraversi ogni mediazione, si infrange contro lo strapotere di una sorta di “universalismo scientifico”, che scavalca, nei fatti, lo stesso roccioso principio di falsificazione su cui si fonda il cammino della tecnoscienza. Ogni strabiliante e spesso assai benefica scoperta della tecnoscienza è salutata dalla vulgata come un progresso assoluto e definitivo. Ciò riduce di fatto la possibilità che ogni altra ricerca di senso vada oltre l’empirico. Le biotecnologie e assai di più, in prospettiva, le neuroscienze non rischiano troppo in questa direzione?
Questo modo di intendere e praticare la tecnoscienza non finisce per richiamare, al di là delle radicali mutazioni di contenuti e di linguaggio, le paoline potenze angeliche, le sapienze filosofiche e le visioni tese a sostituire il principio unificante che è Cristo o, più in generale, la ricerca di senso (significato e direzione) pur con tutte le autonome mediazioni?
Tornando a Paolo, la singolare divino-umanità di Cristo è il fattore che tiene insieme tutto il creato, è la destinazione di ogni cosa. In Cristo si vede la nuova armonia tra creato e storia. Egli è alla loro origine, le fa sussistere, a Lui esse sono finalizzate. A Lui, sul quale la morte non ha più potere. Il processo mediante il quale tutto il cosmo è ricapitolato è irreversibile.
La Chiesa è il luogo “corporale” di tale unità e riconciliazione. È il luogo ove il capo (Cristo) dimostra la sua signoria. La sua risurrezione inaugura nella storia un processo che attrae a sé tutte le creature. Porta il cosmo al suo compimento.
Assumere l’atteggiamento di Paolo, cioè rifarsi al «pensiero» (nous) (1Cor 2,16) e ai «sentimenti» (Fil 2,5) di Cristo è condizione decisiva per un’equilibrata ecologia. Massimo il Confessore descrive in modo stupendo cosa significhi avere il pensiero di Cristo: «Anch’io, infatti, dico di avere il pensiero di Cristo – “nous Christou” – che pensa secondo Lui e pensa Lui attraverso tutte cose»[10]. Nel travaglio del nuovo millennio i cristiani, riconoscendo i propri errori e senza alcun intento egemonico, sono chiamati a proporre alla libertà di tutti i soggetti che abitano la società plurale stili di vita che documentino questo rinnovato rapporto con il creato.
IV
Solo nel riconoscimento di un principio unificatore si possono affrontare le sfide ecologiche attuali. La questione del senso (significato e direzione) è universale ed ineludibile. Per questo Benedetto XVI parlava della necessità di un’ecologia umana che si affiancasse all’ecologia ambientale[11].
Papa Francesco, nell’enciclica Laudato si’, articola ulteriormente questa proposta proponendo un’ecologia integrale[12] alla cui “spiritualità” tutti dobbiamo educarci. Questa ecologia integrale implica un’ecologia ambientale, un’ecologia economica e sociale, un’ecologia culturale fino a giungere ad una ecologia della vita quotidiana. Quello degli uomini nel rapporto con il creato è un lavoro lungo perché chiede a miliardi di persone di cambiare centinaia di comportamenti. Solo una simile ecologia però può vincere il degrado umano e sociale soprattutto per sconfiggere l’ingiustizia, «ascoltando il grido della terra quanto il grido dei poveri»[13]. Dicevano i Padri della Chiesa: «Nutri colui che è moribondo per fame, perché se non l’avrai nutrito l’avrai ucciso»[14]. Senza una simile ecologia è impossibile una solidarietà globale, la sola rispettosa della destinazione comune ed universale dei beni.
V
«O bellezza! O mondo ebbro di amore eterno, di vita eterna». Sono parole aggiunte da Mahler al testo dell’ultimo movimento del Canto della terra (Das Lied von der Erde, 1907-1909). Bellezza[15], mondo, ebbrezza (non quella che i cosiddetti poeti “maledetti” – Baudelaire, Verlaine, Rimbaud, Mallarmé… – cercavano nell’assenzio), amore (la forza che «move il sole e le altre stelle»[16]) ed eternità: il creato in tutte le sue manifestazioni rivela una sete inesauribile di eternità. In ogni essere c’è qualcosa di eterno. È, quello di Mahler, quasi il compendio di un programma ecologico offerto alla nostra e alle future generazioni. Il grande musicista, ormai segnato profondamente dalla morte (quella della figlia e la sua mortale malattia), ma sempre «avido di vivere», riconosce che l’«abitudine di vivere è più dolce che mai»[17]. Nel «tormento [che] divora eternamente il [suo] cuore» di fronte alle domande ultime – “Da dove veniamo? Verso dove andiamo?” Perché soffriamo? – giunge ad affermare: «Non mi sorprenderebbe se mi trovassi in un corpo nuovo. È strano, quando sento musica, anche se sono io stesso a dirigerla, trovo risposte molto precise a tutte le mie domande, e tutto per me è perfettamente chiaro ed evidente. Oppure, anzi, ciò che mi sembra di percepire con chiarezza è che non si tratta in assoluto di domande»[18].
L’ambito della musica qui si avvicina molto a quello della fede. Cos’è, infatti, la musica se non un’apertura che invita ad attraversare tutto il creato?
***
[1] Cfr. S. Kierkegaard, Il giglio nel campo e l’uccello nel campo. Discorsi 1849-1851, Virgolette 51, Donzelli, Roma 2011.
[2] Ibid., 36.
[3] Francesco, Laudato si’ 216.
[4] Cfr. A. Scola, Cosa nutre la vita?, Centro Ambrosiano, Milano 2013, 13-24.
[5] Francesco, Laudato si’ 67.
[6] Cfr. ibid., 81.
[7] Cfr. P. Klett Lasso de la Vega – P. Martínez de Anguita, Justicia con la naturaleza, Dykinson, Mardi 2013, 68.
[8] Cfr. G. Biffi, Linee di escatología cristiana, Jaca Book, Milano 1984, 50.
[9] Francesco, Laudato si’ 2.
[10] Massimo Confessore, Il Dio-uomo, a cura di Aldo Ceresa-Castaldo, Jaca Book, Milano 1980, 103.
[11] Cfr. Benedetto XVI, Caritas in veritate,51.
[12]Cfr. Francesco, Laudato si’ 137-162.
[13] Ibid., 49.
[14] Citato in Gaudium et spes 69.
[15] Agostino, De musica VI, 13,38: «Dimmi ti prego che altro si può amare se non le cose belle?».
[16] Dante, Paradiso XXXIII, 143.
[17] Cfr. B. Walter, Gustav Malher, Editori Riuniti, Roma 1981.
[18] Ibidem.