L'Osservatore Romano
Nel cristianesimo. Pubblichiamo ampi stralci dall’intervento tenuto, lunedì 16 a Roma, dal cardinale segretario di Stato in occasione del diciottesimo convegno nazionale teologico-pastorale dell’Opera romana pellegrinaggi sul tema «Pellegrinaggio e misericordia nelle tre grandi religioni monoteiste».
(Pietro Parolin) Dopo l’editto di Costantino, i pellegrinaggi ai luoghi biblici si fecero più frequenti. Sono noti — tra altri — quello del Pellegrino di Bordeaux, di Egeria, dello Pseudo Eucherio e dello Pseudo Antonino di Piacenza. Ma presero piede specialmente i pellegrinaggi ai martyria, cioè alle tombe dei martiri, con il culto delle loro reliquie. Poi, soprattutto attraverso l’opera di san Colombano e di san Bonifacio, a partire dai secoli VI e VII, durante e dopo l’inclusione di nuovi popoli nei confini dell’impero romano, si avviarono forme di pellegrinaggio sempre più a carattere penitenziale.Nei secoli X e XI, il pellegrinaggio diventò una forma di ascesi: l’uomo medievale cercava la fuga mundi e il martirio era visto come viaggio che corona l’esistenza terrena. Divenne emblematico di tale forma di ascesi e di sacrificio, per esempio, il Cammino di Santiago de Compostela, vissuto in solitudine e penitenza.
Anche le “crociate” assunsero significati spirituali. Nel pellegrino vi era la convinzione che i rischi e le avversità ottenessero la misericordia divina, purificando l’anima da peccati e crimini di diversa natura, proprio perché si coniugavano la ricerca della riconciliazione con Dio e la conquista dei luoghi santi in cui Gesù aveva vissuto la sua vicenda terrena. Il pellegrinaggio, dunque, era necessariamente vissuto nella fatica e nella sofferenza, come prova d’amore, anche se non di rado era accompagnato da degenerazioni e non si distingueva bene tra pellegrini e vagabondi.
Nel frattempo, la medesima visione penitenziale del pellegrinaggio, in riferimento al bisogno di ottenere misericordia, si concretizzava nei “giubilei del perdono” (perdonanze), culminati nel 1300 con l’indizione del primo Anno Santo. L’idea che vi soggiaceva era l’acquisto dell’indulgenza, considerata come occasione speciale di misericordia per eliminare colpe e pene derivate dal peccato, ma anche come opportunità per rinnovare la vita collettiva con l’impegno a tradurre in concreto le opere di misericordia corporale.
Con le sollecitazioni della Riforma protestante, il pellegrinaggio passò dalla funzione penitenziale a quella devozionale: invece di visitare abbazie e monasteri, ora i pellegrini si recavano ai santuari. Fiorirono quelli mariani, che prendevano origine da apparizioni o da ritrovamenti di statue, immagini o edicole. Così, il pellegrinaggio mariano divenne quasi il modello del cammino nella fede. Di fatto, tracciano la topografia spirituale dell’umanità i nomi di Loreto, Caravaggio, Guadalupe, Aparecida, La Salette, Lourdes, Fátima e Częstochowa, accanto allo sterminato elenco dei templi mariani locali.
Sorsero anche santuari dedicati ai santi, che si fondavano sulle loro tombe o sui luoghi in cui avevano vissuto, come san Francesco in Assisi, sant’Antonio a Padova, santa Rita a Cascia. In tal modo, l’epoca moderna rivalutava la devozione popolare, cercando però di coniugarla con la vita liturgica della Chiesa.
In epoca contemporanea, infine, l’incremento dei pellegrinaggi è frutto anche della testimonianza dei Pontefici, a partire dal pellegrinaggio ad Assisi di Giovanni XXIII, da quello in Terra Santa di Paolo VI e, in maniera particolare, dei viaggi pastorali e delle giornate mondiali della gioventù di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco.
Questa breve carrellata storica ci permette di individuare la tipologia dei pellegrinaggi cristiani, elencando anzitutto il pellegrinaggio di devozione, che nei tempi più antichi stabiliva il contatto con i luoghi sacri della Terra Santa e delle prime comunità cristiane. Poi, il pellegrinaggio di penitenza, caratteristico della pietà medievale. Nei tempi più recenti troviamo il pellegrinaggio di supplica, la cui forma più comune è il pellegrinaggio terapeutico, a scopo cioè di guarigione. Nell’epoca moderna, infine, ha preso corpo il pellegrinaggio ai luoghi in cui è avvenuta una apparizione mariana o ai santuari che custodiscono venerande reliquie, soprattutto quelle provenienti dalla Terra Santa e dai Paesi del Vicino Oriente.
Il denominatore comune, però, è la misericordia, che costituisce il fondamento su cui si consolida il pellegrinaggio vero e proprio. Con la decisione di recarsi a un luogo sacro, infatti, il pellegrinaggio si configura come distacco dalla quotidianità alla ricerca di un incontro con Dio invisibile e trascendente, con il mistero della redenzione e con la rivelazione di un messaggio divino, nella certezza che ciò possa fecondare e dare significato alla trama dei percorsi profani e quotidiani, magari con la mediazione della comunità ecclesiale che si incontra nel santuario. È qui che il pellegrino fa esperienza di accoglienza, vive la festa delle devozioni popolari e partecipa alle celebrazioni liturgiche da cui trae sentimenti di pace e di serenità, incoraggiato ad assumersi nuove responsabilità per proseguire il cammino dell’esistenza e tradurre nella quotidianità quelle opere che manifestano la gioia di aver ottenuto misericordia, appunto mediante l’esercizio di una rinnovata sensibilità verso Dio e verso il prossimo.
Pertanto, il pellegrinaggio ai luoghi santi del cristianesimo offre un’occasione privilegiata all’esperienza della misericordia. Nei santuari convergono un gran numero di persone di tutte le età e condizioni sociali e religiose, molte delle quali si sono allontanate dalla vita di fede e vivono ai margini dell’appartenenza ecclesiale. Non sono, però, persone indifferenti, bensì alla ricerca del senso della vita e delle cose, a volte con cuore sincero e a volte semplicemente spinte dalla curiosità. Andare in pellegrinaggio verso mete che rivelano il passaggio di Dio significa, quindi, accostarsi alla misericordia divina dopo aver intrapreso un cammino interiore di conversione, che conduce alla purificazione e alla pace, suscitando un rinnovato entusiasmo nel tradurre il Vangelo nella vita quotidiana.
Per alcune persone, il luogo sacro può essere l’unico legame con la comunità ecclesiale. Per altre, invece, nel contesto di una Chiesa che è come “un ospedale da campo”, il santuario funge da “clinica specializzata” che somministra una parola che guarisce, una voce che incoraggia e persino un richiamo a rivedere le scelte di vita secondo coscienza.
Da quanto detto sin qui, è facile dedurre che il pellegrinaggio cristiano è da sempre un’esperienza forte e privilegiata di bontà e di misericordia, che ha disegnato sulla terra una fitta rete di percorsi sacrali che si distendono non solo nello spazio ma anche nel tempo.
Nella realizzazione del pellegrinaggio cristiano, la guida saggia e intelligente valorizza molto la fase del viaggio, sia d’andata che di ritorno, come opportunità per creare un distacco dalla vita abitudinaria di ogni giorno, magari ricorrendo alla preghiera corale e al canto sacro. Oltre a offrire una testimonianza edificante di comportamento cristiano, questa fase del pellegrinaggio è di enorme utilità perché i singoli e il gruppo si preparino a chiedere e ad accogliere la misericordia divina, una volta giunti alla meta del viaggio.
Su questo aspetto san Giovanni Crisostomo è stato maestro eccezionale. Egli considerava lo sforzo di colmare la distanza tra il luogo di partenza e il traguardo sacro come mezzo per imitare, in qualche misura, le sofferenze dei martiri: il pellegrino era incoraggiato a vivere il tempo del viaggio come terapia spazio-temporale. Infatti, l’avanzare progressivo verso la meta segnava le tappe della liberazione dal passato per aprire nuovi orizzonti sul futuro: mano a mano, il pellegrinaggio esteriore diventava un supporto del pellegrinaggio interiore, in grado di far maturare un’intensa conversione del cuore.
Così Crisostomo esortava i suoi pellegrini: «La strada è molto lunga: usiamo della lunghezza della strada per raccogliere le cose che sono state dette; cospargiamo la via di soavi profumi (…). Procediamo ben ordinati, esortandoci a vicenda, così da camminare in modo corretto, e abbiamo a far stupire chi ci guarda non solo per il numero, ma anche per la compostezza».
Nel pellegrinaggio cristiano, poi, si riserva particolare importanza alla cura dell’accoglienza del pellegrino, che si manifesta nei dettagli più semplici fino alla disponibilità all’ascolto e all’accompagnamento per tutta la durata del pellegrinaggio. Qui sta l’aspetto visibile della carità di chi vive e opera nel luogo sacro, tanto da stimolare il pellegrino a riflettere sul fatto di sentirsi accolto da Dio perché è accolto dai fratelli. In effetti, per molti uomini e donne questo è un momento decisivo, che può lasciare segni in profondità e determinare in grande misura alcune scelte del futuro.
Per questo, ascoltando l’invito che Giovanni Paolo II ha rivolto ai partecipanti al congresso mondiale di pastorale dei santuari e pellegrinaggi del 1992, bisogna essere «attenti ai “tempi” e ai ritmi di ogni pellegrinaggio: la partenza, l’arrivo, la “visita” al santuario e il ritorno. Tanti momenti del loro itinerario che i pellegrini affidano alla vostra sollecitudine pastorale. Avete il compito di guidarli all’essenziale: Gesù Cristo Salvatore, termine di ogni cammino e fonte di ogni santità».
L’incisività dell’accoglienza, in effetti, si sperimenta a contatto con la Parola di Dio che consola, risana e irrobustisce. Il pellegrino, infatti, si mette in cammino e giunge al luogo sacro in situazioni contrastanti di speranza o di sofferenza, di gioia, di confusione, di ringraziamento, di preoccupazione, di incertezza o di fragilità. Molte di queste esperienze sono il canale che permette agli interrogativi più pressanti dell’esistenza di emergere. E in Cristo trovano risposta.
Se il cammino, l’arrivo e la sosta al luogo sacro formano le tappe più significative del pellegrinaggio, la spiritualità del ritorno corona tutto l’itinerario. Per il pellegrino cristiano, infatti, il ritorno non coincide con il semplice tornare indietro. L’esperienza della misericordia lo ha cambiato e lascia segni evidenti nella ripresa della quotidianità. Egli intuisce che anche il ritorno fa parte del pellegrinaggio quando si sente interpellato a vivere cristianamente la sua vita rientrando nella sua comunità e rinsaldando i legami con essa, anzitutto raccontando ciò che ha vissuto e magari contribuendo al rinnovamento della manifestazione ecclesiale della fede, della speranza e della carità.
Così si è espresso Benedetto XVI, ricordando che il pellegrinaggio può diventare «occasione propizia per rinvigorire in coloro che lo visitano il desiderio di condividere con altri l’esperienza meravigliosa di sapersi amati da Dio e di essere inviati al mondo a dare testimonianza di questo amore».
Del resto, il pellegrinaggio cristiano mette bene in luce alcuni aspetti della misericordia che sono i frutti che essa produce, sollecitando nuove forme di impegno e di responsabilità affinché l’esperienza della bontà divina si traduca in altrettanti gesti di misericordia verso il prossimo. In tutto questo, ancora una volta emerge che la Chiesa è chiamata a realizzare la fraternità universale, mandato che è racchiuso nella sua vocazione. In effetti — ha affermato il Santo Padre Francesco nella Bolla Misericordiae Vultus — «la Chiesa ha la missione di annunciare la misericordia di Dio, cuore pulsante del Vangelo, che per mezzo suo deve raggiungere il cuore e la mente di ogni persona». Ed è per questo che si avvale anche delle occasioni che le offrono i pellegrinaggi, soprattutto per la loro caratteristica di attirare moltitudini di persone. Lo ha ricordato anche Benedetto XVI, sottolineando l’importanza del pellegrinaggio «per la sua straordinaria capacità di richiamo, che attrae un numero crescente di pellegrini e turisti religiosi, alcuni dei quali si trovano in situazioni umane e spirituali complesse, alquanto lontani dal vissuto di fede e con una debole appartenenza ecclesiale».
Paolo VI disse che «evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio del Cristo nella Santa Messa che è il memoriale della sua morte e della sua gloriosa risurrezione». Qui sta la sintesi del pellegrinaggio cristiano come esperienza particolare che mette in luce l’essenza della Chiesa: mediante il pellegrinaggio, infatti, la Chiesa manifesta la misericordiosa bontà di Dio attraverso i tre elementi costitutivi dell’identità cristiana: l’insegnamento degli Apostoli, la comunione nella preghiera e nella frazione del pane, la comunione della vita e dei beni.
Immersi nella spiritualità e nell’esperienza della comunione, i luoghi sacri dei pellegrinaggi cristiani rendono più efficaci e incisive le opere di misericordia spirituale e corporale della Chiesa diocesana, a stretto contatto con l’Ordinario locale, pienamente inseriti nei programmi pastorali diocesani che sempre riservano sensibilità e attenzione a lenire le piaghe dell’umanità anche con la creazione di apposite strutture.
Il concilio ecumenico Vaticano II ha sottolineato con particolare enfasi la missione della Chiesa di manifestare la misericordia di Dio verso l’umanità mentre cammina anch’essa nel tempo e nello spazio, stabilendo un’analogia con l’Israele dell’antica alleanza in cammino attraverso il deserto.
Nella Chiesa, il pellegrino — come ha scritto il Santo Padre Francesco — acquisisce la consapevolezza che «l’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia».
L'Osservatore Romano, 17 gennaio 2015.
Nel cristianesimo. Pubblichiamo ampi stralci dall’intervento tenuto, lunedì 16 a Roma, dal cardinale segretario di Stato in occasione del diciottesimo convegno nazionale teologico-pastorale dell’Opera romana pellegrinaggi sul tema «Pellegrinaggio e misericordia nelle tre grandi religioni monoteiste».
(Pietro Parolin) Dopo l’editto di Costantino, i pellegrinaggi ai luoghi biblici si fecero più frequenti. Sono noti — tra altri — quello del Pellegrino di Bordeaux, di Egeria, dello Pseudo Eucherio e dello Pseudo Antonino di Piacenza. Ma presero piede specialmente i pellegrinaggi ai martyria, cioè alle tombe dei martiri, con il culto delle loro reliquie. Poi, soprattutto attraverso l’opera di san Colombano e di san Bonifacio, a partire dai secoli VI e VII, durante e dopo l’inclusione di nuovi popoli nei confini dell’impero romano, si avviarono forme di pellegrinaggio sempre più a carattere penitenziale.Nei secoli X e XI, il pellegrinaggio diventò una forma di ascesi: l’uomo medievale cercava la fuga mundi e il martirio era visto come viaggio che corona l’esistenza terrena. Divenne emblematico di tale forma di ascesi e di sacrificio, per esempio, il Cammino di Santiago de Compostela, vissuto in solitudine e penitenza.
Anche le “crociate” assunsero significati spirituali. Nel pellegrino vi era la convinzione che i rischi e le avversità ottenessero la misericordia divina, purificando l’anima da peccati e crimini di diversa natura, proprio perché si coniugavano la ricerca della riconciliazione con Dio e la conquista dei luoghi santi in cui Gesù aveva vissuto la sua vicenda terrena. Il pellegrinaggio, dunque, era necessariamente vissuto nella fatica e nella sofferenza, come prova d’amore, anche se non di rado era accompagnato da degenerazioni e non si distingueva bene tra pellegrini e vagabondi.
Nel frattempo, la medesima visione penitenziale del pellegrinaggio, in riferimento al bisogno di ottenere misericordia, si concretizzava nei “giubilei del perdono” (perdonanze), culminati nel 1300 con l’indizione del primo Anno Santo. L’idea che vi soggiaceva era l’acquisto dell’indulgenza, considerata come occasione speciale di misericordia per eliminare colpe e pene derivate dal peccato, ma anche come opportunità per rinnovare la vita collettiva con l’impegno a tradurre in concreto le opere di misericordia corporale.
Con le sollecitazioni della Riforma protestante, il pellegrinaggio passò dalla funzione penitenziale a quella devozionale: invece di visitare abbazie e monasteri, ora i pellegrini si recavano ai santuari. Fiorirono quelli mariani, che prendevano origine da apparizioni o da ritrovamenti di statue, immagini o edicole. Così, il pellegrinaggio mariano divenne quasi il modello del cammino nella fede. Di fatto, tracciano la topografia spirituale dell’umanità i nomi di Loreto, Caravaggio, Guadalupe, Aparecida, La Salette, Lourdes, Fátima e Częstochowa, accanto allo sterminato elenco dei templi mariani locali.
Sorsero anche santuari dedicati ai santi, che si fondavano sulle loro tombe o sui luoghi in cui avevano vissuto, come san Francesco in Assisi, sant’Antonio a Padova, santa Rita a Cascia. In tal modo, l’epoca moderna rivalutava la devozione popolare, cercando però di coniugarla con la vita liturgica della Chiesa.
In epoca contemporanea, infine, l’incremento dei pellegrinaggi è frutto anche della testimonianza dei Pontefici, a partire dal pellegrinaggio ad Assisi di Giovanni XXIII, da quello in Terra Santa di Paolo VI e, in maniera particolare, dei viaggi pastorali e delle giornate mondiali della gioventù di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco.
Questa breve carrellata storica ci permette di individuare la tipologia dei pellegrinaggi cristiani, elencando anzitutto il pellegrinaggio di devozione, che nei tempi più antichi stabiliva il contatto con i luoghi sacri della Terra Santa e delle prime comunità cristiane. Poi, il pellegrinaggio di penitenza, caratteristico della pietà medievale. Nei tempi più recenti troviamo il pellegrinaggio di supplica, la cui forma più comune è il pellegrinaggio terapeutico, a scopo cioè di guarigione. Nell’epoca moderna, infine, ha preso corpo il pellegrinaggio ai luoghi in cui è avvenuta una apparizione mariana o ai santuari che custodiscono venerande reliquie, soprattutto quelle provenienti dalla Terra Santa e dai Paesi del Vicino Oriente.
Il denominatore comune, però, è la misericordia, che costituisce il fondamento su cui si consolida il pellegrinaggio vero e proprio. Con la decisione di recarsi a un luogo sacro, infatti, il pellegrinaggio si configura come distacco dalla quotidianità alla ricerca di un incontro con Dio invisibile e trascendente, con il mistero della redenzione e con la rivelazione di un messaggio divino, nella certezza che ciò possa fecondare e dare significato alla trama dei percorsi profani e quotidiani, magari con la mediazione della comunità ecclesiale che si incontra nel santuario. È qui che il pellegrino fa esperienza di accoglienza, vive la festa delle devozioni popolari e partecipa alle celebrazioni liturgiche da cui trae sentimenti di pace e di serenità, incoraggiato ad assumersi nuove responsabilità per proseguire il cammino dell’esistenza e tradurre nella quotidianità quelle opere che manifestano la gioia di aver ottenuto misericordia, appunto mediante l’esercizio di una rinnovata sensibilità verso Dio e verso il prossimo.
Pertanto, il pellegrinaggio ai luoghi santi del cristianesimo offre un’occasione privilegiata all’esperienza della misericordia. Nei santuari convergono un gran numero di persone di tutte le età e condizioni sociali e religiose, molte delle quali si sono allontanate dalla vita di fede e vivono ai margini dell’appartenenza ecclesiale. Non sono, però, persone indifferenti, bensì alla ricerca del senso della vita e delle cose, a volte con cuore sincero e a volte semplicemente spinte dalla curiosità. Andare in pellegrinaggio verso mete che rivelano il passaggio di Dio significa, quindi, accostarsi alla misericordia divina dopo aver intrapreso un cammino interiore di conversione, che conduce alla purificazione e alla pace, suscitando un rinnovato entusiasmo nel tradurre il Vangelo nella vita quotidiana.
Per alcune persone, il luogo sacro può essere l’unico legame con la comunità ecclesiale. Per altre, invece, nel contesto di una Chiesa che è come “un ospedale da campo”, il santuario funge da “clinica specializzata” che somministra una parola che guarisce, una voce che incoraggia e persino un richiamo a rivedere le scelte di vita secondo coscienza.
Da quanto detto sin qui, è facile dedurre che il pellegrinaggio cristiano è da sempre un’esperienza forte e privilegiata di bontà e di misericordia, che ha disegnato sulla terra una fitta rete di percorsi sacrali che si distendono non solo nello spazio ma anche nel tempo.
Nella realizzazione del pellegrinaggio cristiano, la guida saggia e intelligente valorizza molto la fase del viaggio, sia d’andata che di ritorno, come opportunità per creare un distacco dalla vita abitudinaria di ogni giorno, magari ricorrendo alla preghiera corale e al canto sacro. Oltre a offrire una testimonianza edificante di comportamento cristiano, questa fase del pellegrinaggio è di enorme utilità perché i singoli e il gruppo si preparino a chiedere e ad accogliere la misericordia divina, una volta giunti alla meta del viaggio.
Su questo aspetto san Giovanni Crisostomo è stato maestro eccezionale. Egli considerava lo sforzo di colmare la distanza tra il luogo di partenza e il traguardo sacro come mezzo per imitare, in qualche misura, le sofferenze dei martiri: il pellegrino era incoraggiato a vivere il tempo del viaggio come terapia spazio-temporale. Infatti, l’avanzare progressivo verso la meta segnava le tappe della liberazione dal passato per aprire nuovi orizzonti sul futuro: mano a mano, il pellegrinaggio esteriore diventava un supporto del pellegrinaggio interiore, in grado di far maturare un’intensa conversione del cuore.
Così Crisostomo esortava i suoi pellegrini: «La strada è molto lunga: usiamo della lunghezza della strada per raccogliere le cose che sono state dette; cospargiamo la via di soavi profumi (…). Procediamo ben ordinati, esortandoci a vicenda, così da camminare in modo corretto, e abbiamo a far stupire chi ci guarda non solo per il numero, ma anche per la compostezza».
Nel pellegrinaggio cristiano, poi, si riserva particolare importanza alla cura dell’accoglienza del pellegrino, che si manifesta nei dettagli più semplici fino alla disponibilità all’ascolto e all’accompagnamento per tutta la durata del pellegrinaggio. Qui sta l’aspetto visibile della carità di chi vive e opera nel luogo sacro, tanto da stimolare il pellegrino a riflettere sul fatto di sentirsi accolto da Dio perché è accolto dai fratelli. In effetti, per molti uomini e donne questo è un momento decisivo, che può lasciare segni in profondità e determinare in grande misura alcune scelte del futuro.
Per questo, ascoltando l’invito che Giovanni Paolo II ha rivolto ai partecipanti al congresso mondiale di pastorale dei santuari e pellegrinaggi del 1992, bisogna essere «attenti ai “tempi” e ai ritmi di ogni pellegrinaggio: la partenza, l’arrivo, la “visita” al santuario e il ritorno. Tanti momenti del loro itinerario che i pellegrini affidano alla vostra sollecitudine pastorale. Avete il compito di guidarli all’essenziale: Gesù Cristo Salvatore, termine di ogni cammino e fonte di ogni santità».
L’incisività dell’accoglienza, in effetti, si sperimenta a contatto con la Parola di Dio che consola, risana e irrobustisce. Il pellegrino, infatti, si mette in cammino e giunge al luogo sacro in situazioni contrastanti di speranza o di sofferenza, di gioia, di confusione, di ringraziamento, di preoccupazione, di incertezza o di fragilità. Molte di queste esperienze sono il canale che permette agli interrogativi più pressanti dell’esistenza di emergere. E in Cristo trovano risposta.
Se il cammino, l’arrivo e la sosta al luogo sacro formano le tappe più significative del pellegrinaggio, la spiritualità del ritorno corona tutto l’itinerario. Per il pellegrino cristiano, infatti, il ritorno non coincide con il semplice tornare indietro. L’esperienza della misericordia lo ha cambiato e lascia segni evidenti nella ripresa della quotidianità. Egli intuisce che anche il ritorno fa parte del pellegrinaggio quando si sente interpellato a vivere cristianamente la sua vita rientrando nella sua comunità e rinsaldando i legami con essa, anzitutto raccontando ciò che ha vissuto e magari contribuendo al rinnovamento della manifestazione ecclesiale della fede, della speranza e della carità.
Così si è espresso Benedetto XVI, ricordando che il pellegrinaggio può diventare «occasione propizia per rinvigorire in coloro che lo visitano il desiderio di condividere con altri l’esperienza meravigliosa di sapersi amati da Dio e di essere inviati al mondo a dare testimonianza di questo amore».
Del resto, il pellegrinaggio cristiano mette bene in luce alcuni aspetti della misericordia che sono i frutti che essa produce, sollecitando nuove forme di impegno e di responsabilità affinché l’esperienza della bontà divina si traduca in altrettanti gesti di misericordia verso il prossimo. In tutto questo, ancora una volta emerge che la Chiesa è chiamata a realizzare la fraternità universale, mandato che è racchiuso nella sua vocazione. In effetti — ha affermato il Santo Padre Francesco nella Bolla Misericordiae Vultus — «la Chiesa ha la missione di annunciare la misericordia di Dio, cuore pulsante del Vangelo, che per mezzo suo deve raggiungere il cuore e la mente di ogni persona». Ed è per questo che si avvale anche delle occasioni che le offrono i pellegrinaggi, soprattutto per la loro caratteristica di attirare moltitudini di persone. Lo ha ricordato anche Benedetto XVI, sottolineando l’importanza del pellegrinaggio «per la sua straordinaria capacità di richiamo, che attrae un numero crescente di pellegrini e turisti religiosi, alcuni dei quali si trovano in situazioni umane e spirituali complesse, alquanto lontani dal vissuto di fede e con una debole appartenenza ecclesiale».
Paolo VI disse che «evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio del Cristo nella Santa Messa che è il memoriale della sua morte e della sua gloriosa risurrezione». Qui sta la sintesi del pellegrinaggio cristiano come esperienza particolare che mette in luce l’essenza della Chiesa: mediante il pellegrinaggio, infatti, la Chiesa manifesta la misericordiosa bontà di Dio attraverso i tre elementi costitutivi dell’identità cristiana: l’insegnamento degli Apostoli, la comunione nella preghiera e nella frazione del pane, la comunione della vita e dei beni.
Immersi nella spiritualità e nell’esperienza della comunione, i luoghi sacri dei pellegrinaggi cristiani rendono più efficaci e incisive le opere di misericordia spirituale e corporale della Chiesa diocesana, a stretto contatto con l’Ordinario locale, pienamente inseriti nei programmi pastorali diocesani che sempre riservano sensibilità e attenzione a lenire le piaghe dell’umanità anche con la creazione di apposite strutture.
Il concilio ecumenico Vaticano II ha sottolineato con particolare enfasi la missione della Chiesa di manifestare la misericordia di Dio verso l’umanità mentre cammina anch’essa nel tempo e nello spazio, stabilendo un’analogia con l’Israele dell’antica alleanza in cammino attraverso il deserto.
Nella Chiesa, il pellegrino — come ha scritto il Santo Padre Francesco — acquisisce la consapevolezza che «l’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia».
L'Osservatore Romano, 17 gennaio 2015.