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Vaticano
Come fosse l' anno zero
Il Sole 24 Ore
(Gianfranco Brunelli) I convegni nazionali hanno segnato, anche in virtù della loro scansione decennale, una periodizzazione della vita della comunità cattolica italiana e del suo rapporto con la realtà del paese. Essi coprono un quarantennio di storia e quattro papi su cinque hanno conferito a questi appuntamenti un ruolo di indirizzo.
Quella che oggi ci appare, ed è, come una storia fu all' inizio un' intuizione che la leadership della CEI (l' allora segretario mons. Enrico Bartoletti) ebbe e manifestò a Paolo VI per cercare di reagire alla contrapposizione frontale tra la Chiesa e la società italiana e alle divisioni interne alla comunità ecclesiale (oltre al «dissenso», una parte importante dell' intellettualità cattolica) manifestatesi in occasione del referendum sul divorzio, nel maggio del 1974. Il primo convegno si svolse a Roma nel 1976. Seguirono i due appuntamenti wojtyliani (Loreto, 1985 e Palermo, 1995). Poi Verona nel 2006, sul finire della ventennale leadership del card. Ruini, alla presenza di Benedetto XVI. L' attuale convegno porta il titolo: In Gesù Cristo il nuovo umanesimo. Titolo di per sé piuttosto complesso su un piano storico-culturale, scelto sotto il precedente pontificato e che ora con i nuovi orientamenti di papa Francesco viene faticosamente reinterpretato. Se a Loreto, nel 1985, a mezzo il convegno, Wojtyla correggeva la linea del convegno e della maggioranza dei vescovi italiani, ritenuta troppo dialogante con le forme del pluralismo politico e culturale della società italiana, e con una mozione d' ordine che non ammetteva distinguo chiedeva alla Chiesa una nuova presenza affinché le strutture sociali tornassero ad essere «sempre più rispettose di quei valori etici in cui si rispecchia la piena verità sull' uomo», papa Francesco verifica che sia l' interventismo wojtyliano, sia la dottrina razzingeriana non hanno impedito i mutamenti epocali e la secolarizzazione in corso e cambia registro. Viviamo un cambio d' epoca che facciamo persino fatica a comprendere: ha detto. Per Francesco non è più tempo di illusorie riconquiste cristiane della società, né di astratte affermazioni dottrinali: si può essere significativi se si torna ai fondamentali del Vangelo. Con tutta la forza, la determinazione e il coraggio che questo comporta. «Non c' è nulla di più solido, profondo e sicuro di questo annuncio. Ma sia tutto il popolo di Dio ad annunciare il Vangelo, popolo e pastori», ha aggiunto. Nel suo discorso fiorentino, Francesco ha messo in guardia la Chiesa dalla tentazione «pelagiana», che guarda al primato delle strutture e dell' organizzazione, e dalla tentazione «gnostica», chiusa nell' immanenza della propria forma razionale. Ha proclamato la necessità di una riforma spirituale (e strutturale) profonda. Non a caso ha chiuso il suo intervento chiedendo, accanto allo stile evangelico, uno stile sinodale anche per la chiesa italiana, che a partire da ogni realtà parrocchiale e diocesana chiami a raccolta tutti i battezzati per ridefinire assieme la propria identità pastorale. Vescovi e popolo. Francesco non nega l' approccio culturale alla fede, le apprezza anzi le derivazioni . Negare l' approccio culturale nella città dell' umanesimo, rifiutarne le contraddizioni e i problemi che esso comunque pone in chiave teologica e antropologica, politica e sociale, dopo il tragico Novecento, rischierebbe di essere un punto di caduta, non di forza della vita della Chiesa. E proprio un riferimento contestuale all' umanesimo fiorentino (ancorché nel suo finire), alla sua lezione, lo ha fatto guardando all' Ecce homo che Federico Zuccari ha dipinto nell' intradosso della cupola del Brunelleschi in Santa Maria del Fiore, tra il 1572 e il 1579. Alzando gli occhi al cielo, l' intera assemblea dei 2.200 delegati di Firenze poteva vedere nella figura del Cristo risorto e giudice chi è Dio e chi è l' uomo. Non un giudice irato che impugna la spada che l' angelo gli porge, ma un Dio che alzando la mano mostra i segni della crocifissione. Un giudice di misericordia. «Guardando il suo volto _ ha detto il papa _ vediamo il volto di un Dio "svuotato", di un Dio che ha assunto la condizione di servo, umiliato e obbediente fino alla morte». Il papa ha dunque collegato il tema della kenosis (lo svuotamento che Dio fa delle proprie prerogative divine nell' atto dell' incarnazione), assunta sia sul versante della condizione umana sia su quella della condivisione divina, al tema umanistico della dignitas, della dignità dell' uomo. Da questa radice si può giungere ad affermare che la dignità umana rimane intangibile, comunque. In ogni persona e in ogni situazione o contesto storico. Di qui, attraverso le figure dell' umiltà, del disinteresse e della beatitudine è tornato sui temi delle povertà, da condividere e da sanare; del dialogo, da perseguire per «l' amicizia sociale» del paese; della presa di distanza dall' ossessione del potere, anche quando è utile, per essere coscienza critica della società. Viene archiviata definitivamente la stagione precedente. Dopo la fine del cattolicesimo politico è inutile attardarsi sulle nostalgie e sulle forme del passato. Quello di Francesco è un cattolicesimo post-politico, ma non meno esigente su un piano sociale e civile. Il convegno fiorentino ha dunque due domande di fronte a sé: quale sarà il rapporto tra i vescovi italiani e il pontificato, dopo questo intervento? E quale sarà il rapporto tra la Chiesa e l' Italia? © RIPRODUZIONE RISERVATA.