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Giornata pro orantibus. Nell’orizzonte dell’eterno
L'Osservatore Romano
Giornata pro orantibus. Nell’orizzonte dell’eterno
L'Osservatore Romano
Gioia e contemplazione. Si celebra, sabato 21 novembre, la giornata pro orantibus, nella festa liturgica della presentazione di Maria al tempio, per ricordare quanti, uomini e donne, hanno scelto la vita contemplativa. Nell’occasione, il Segretariato assistenza monache della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica ha promosso un convegno in collaborazione con il Pontificio ateneo Sant’Anselmo.
L’incontro, sul tema «Declinare la gioia nella vita monastica», vedrà l’intervento dell’arcivescovo José Rodríguez Carballo, segretario del dicastero, di suor Giuseppina Fragasso, vicepresidente del Segretariato assistenza monache, di dom Juan Javier Flores Arcas, rettore magnifico del Pontificio ateneo Sant’Anselmo, e di dom Donato Ogliari, abate di Montecassino.(Maria Monica Gianfrancesco) Nel corso dei secoli la vita monastica ha risposto in modi sempre creativi alle evoluzioni della società e della Chiesa. Oggi siamo poste nuovamente di fronte a esigenze nuove che interpellano l’autenticità della nostra risposta vocazionale. Papa Francesco vuole una Chiesa attenta, in ascolto e in cammino, una Chiesa che coniuga contemplazione e apostolato in modalità carismatiche che abbiano l’unzione dello Spirito e l’audacia del missionario e la perseveranza del martire. Amare come Cristo ha amato è il vertice della sequela e del cammino che passa attraverso il lasciarsi interpellare dal Vangelo per le scelte che siamo chiamate a compiere come consacrate e come istituzioni.
Il cammino dell’interiorità contemplativa e il cammino del servizio apostolico hanno lo stesso scopo: essere Cristo, amare come Gesù e vivere secondo il suo stile di vita nella figliolanza e nella fratellanza universali. Ogni carisma ha la sua originalità ed è un volto unico dell’amore del Padre, un prolungamento del Figlio e si mantiene in vita nella dinamica dello Spirito del Padre e del Figlio. L’origine, il momento fontale del nostro carisma ci interpella sempre nonostante la forza di staticità che ci portiamo dietro con i suoi fissismi, pesantezze e lentezze.
“Camminiamo nell’immagine”, dice Agostino. E l’immagine cerca la realtà, è protesa al suo fattore, all’originale che conduce al cuore della relazione trinitaria; solo entrando in essa, per lasciar cadere ogni attaccamento e condizionamento altro, ritornando a essa come al suo centro vitale, la monaca può essere fedele alla sua missione nella Chiesa, può avere antenne pronte a captare i movimenti dello Spirito e trasmetterli.
Un primo luogo della fedeltà monastica è la veglia che instaura un nuovo rapporto col tempo, scruta la notte e precede l’alba col canto della lode. Essa libera la Parola dalla capsula della lettera perché avvii il suo corso di salvezza sino agli estremi confini della terra. È questo tutto il senso di una vita monastica che, vissuta sul limine, segue nello Spirito le vie aperte sul mare.
Il secondo luogo è la mistica della relazione, ossia l’allenamento a vedere dentro, che porta a vivere fatti e situazioni nell’orizzonte dell’eterno. Essere esperte di comunione è un nostro compito-responsabilità ecclesiale, appartiene alla maturità della nostra identità di donne e madri. Vivere la mistica dell’incontro è un imperativo.
Altro luogo di vita è la ricerca di Dio non solamente come tensione personale o fatta assieme, ma anche come servizio, come sostegno all’uomo in ricerca, come interlocutore accogliente, come compagnia, come oasi al pellegrino in cerca di senso, di orientamento.
La ricerca conduce al luogo in cui Dio si fa storia, dove egli si fa toccare ed educa l’uomo alla sua modalità di incontro, al suo modo di essere vicino all’uomo attraverso la liturgia, la Parola e i sacramenti. È in questo incontro che la consacrata e ogni cristiano si riceve come creatura nuova, nata per una missione. Al bagno dell’Eucarestia, nell’immedesimazione con la Parola, i tratti dell’essere si configurano al modello di immagine in immagine e insieme ci si muove verso il banchetto del regno rallegrato dal vino nuovo.
Vivere il presente con passione, è uno dei richiami del Papa. Non possiamo eludere le modalità nuove con cui la società oggi ci interpella e sicuramente attingendo alle sorgenti dobbiamo anche noi tradurre in modi adeguati la parola dell’eterno che sta alla base della nostra vita monastica. È il lavoro della ruminatio esistenziale che trasmette il frutto maturo di un’elaborazione compiuta in simbiosi con l’unzione dello Spirito e irradia e trasmette linee di pensiero e di cultura evangelica passate al setaccio della prova quotidiana e vagliate al fuoco dello Spirito.
È la modalità dell’incarnazione che trasforma l’uomo rendendolo sempre più ad immagine del suo Creatore e immesso nel circolo esistenziale globale, in quel movimento che conduce l’uomo, la società, la storia verso la pienezza della fraternità universale quando Dio sarà tutto in tutti.
In ultima analisi, il momento da riconoscere e vivere è il tempo della vita di Gesù che viviamo nell’Eucaristia. La sua venuta e il nostro incontro con lui è il momento decisivo per convertirci. L’Eucarestia infatti ci rende contemporanei al grande mistero e ci dona luce per discernere e forza per vivere il nostro presente.
“Svegliate il mondo!” ci sollecita Papa Francesco. È alla gravità dell’ora che il Pontefice ci richiama indicandoci il ruolo di sentinelle. L’essere all’erta, restare deste, richiede una vigilanza e una padronanza di sé che è il principio della sapienza.
Il mondo, con una immagine cara a Papa Francesco, è un po’ come un campo profughi in cui può avvenire che le basse difese dei volontari non sono sufficienti a prevenire il contagio delle infezioni diffuse e così ci si ritrova infettate dal male che si voleva guarire. Essere vigilanti, alzare il livello di difesa immunitario, richiede un allenamento e non possiamo concederci soste o vacanze. La vita monastica vuole essere il luogo in cui si vive l’antidoto all’amore disordinato, si acquista l’abito virtuoso che consente di rivestirsi dei sentimenti di Cristo, si ama come lui fino alla fine, si pensa e si agisce come lui.
L'Osservatore Romano, 21 novembre 2015.