Italia
Le chiese e i manufatti dei cristiani di Nagasaki in mostra a Palazzo della Cancelleria. Giovanni Battista in una conchiglia
L'Osservatore Romano
Le chiese e i manufatti dei cristiani di Nagasaki in mostra a Palazzo della Cancelleria. Giovanni Battista in una conchiglia
L'Osservatore Romano
(Cristian Martini Grimaldi) Correva il 1596 quando la nave spagnola San Felipe diretta in Messico, venne scaraventata sulle coste giapponesi da un tifone, evento non raro da quelle parti. Il capitano della nave preso in ostaggio dal Signore locale lo minacciò: se non lo si lasciava procedere verso il Messico il re di Spagna avrebbe mandato le proprie truppe a dare il giusto esempio. Il daimyo locale domandò: ma è davvero così potente il tuo re? Il capitano della San Felipe prese un pezzo di carta e iniziò a disegnare l’estensione dei possedimenti della Spagna, ma esagerandone le proporzioni per far apparire il re molto più potente di quello che in realtà fosse: «Il regno è così grande — intimò il capitano — che il sole non tramonta mai sui suoi possedimenti».
Si può forse far risalire a questo episodio l’inizio della persecuzione dei cristiani in Giappone. Persecuzione che sarebbe durata per oltre duecento anni. Il 23 novembre aprirà a Roma, a Palazzo della Cancelleria, la mostra «Le chiese e i siti cristiani di Nagasaki» il cui sottotitolo è «Sulle orme della straordinaria storia del cristianesimo in Giappone» (visitabile fino a domenica 29 novembre).
La mostra intende illustrare la peculiare storia della diffusione del cristianesimo in Giappone: dove su un arco di quattrocento anni le persecuzioni hanno rappresentato il periodo più lungo.
La prefettura di Nagasaki ha nominato le chiese e i luoghi cristiani presenti nella mostra per l’inclusione nella lista del patrimonio culturale dell’umanità dell’Unesco. Un patrimonio che racconta la storia dello scambio culturale tra il Giappone e l’occidente, dove proprio i missionari cristiani hanno agito come il principale vettore di trasmissione. Un patrimonio che conserva la memoria dei tragici eventi che sono seguiti alla diffusione del cristianesimo in estremo oriente: l’unico modo che i fedeli avevano per sfuggire alle persecuzioni era quello di nascondersi o di rinunciare alla fede. Alcuni rifiutarono di nascondersi e scelsero di ritrattare pubblicamente, mentre in segreto con i loro cari continuavano a seguire i riti cristiani.
Per questo i fedeli utilizzarono qualunque stratagemma. Alcuni oggetti presenti nella mostra nascondono i simboli e i segni della religione proibita: erano i supporti materiali necessari per praticare i loro rituali clandestini. Ad esempio delle statuette raffiguranti la dea Kannon, prodotte in massa in Cina, vennero scelte dai cristiani che vivevano in clandestinità per rappresentare la Vergine Maria. I senpuku kirishitan (i cristiani clandestini) la chiamavano Hanta Maruya. Nella mostra si trova esposta anche la copia di un’orecchia di mare proveniente dal Museo della chiesa di Dōzaki, ovvero una conchiglia riportante l'iscrizione «San Givan». Si ritiene che il nome «San Givan» indichi proprio san Giovanni Battista. I senpuku kirishitan intravedevano la figura del santo nei riflessi che risplendono nella parte interna della conchiglia. Fu così che queste orecchie di mare, già utilizzate in passato come vera e propria moneta di scambio — non è un caso se in giapponese il verbo comprare, kau, viene scritto con il simbolo di una conchiglia — iniziarono a essere tramandate in vari luoghi come oggetti di devozione. Oggi numerosi fedeli arrivano in pellegrinaggio su questi luoghi, ma non solo cristiani; il recupero materiale e culturale di questi siti riporta non solo pace, bellezza e armonia ma perfino turisti e nuovi fedeli.
L'Osservatore Romano, 22 novembre 2015
Si può forse far risalire a questo episodio l’inizio della persecuzione dei cristiani in Giappone. Persecuzione che sarebbe durata per oltre duecento anni. Il 23 novembre aprirà a Roma, a Palazzo della Cancelleria, la mostra «Le chiese e i siti cristiani di Nagasaki» il cui sottotitolo è «Sulle orme della straordinaria storia del cristianesimo in Giappone» (visitabile fino a domenica 29 novembre).
La mostra intende illustrare la peculiare storia della diffusione del cristianesimo in Giappone: dove su un arco di quattrocento anni le persecuzioni hanno rappresentato il periodo più lungo.
La prefettura di Nagasaki ha nominato le chiese e i luoghi cristiani presenti nella mostra per l’inclusione nella lista del patrimonio culturale dell’umanità dell’Unesco. Un patrimonio che racconta la storia dello scambio culturale tra il Giappone e l’occidente, dove proprio i missionari cristiani hanno agito come il principale vettore di trasmissione. Un patrimonio che conserva la memoria dei tragici eventi che sono seguiti alla diffusione del cristianesimo in estremo oriente: l’unico modo che i fedeli avevano per sfuggire alle persecuzioni era quello di nascondersi o di rinunciare alla fede. Alcuni rifiutarono di nascondersi e scelsero di ritrattare pubblicamente, mentre in segreto con i loro cari continuavano a seguire i riti cristiani.
Per questo i fedeli utilizzarono qualunque stratagemma. Alcuni oggetti presenti nella mostra nascondono i simboli e i segni della religione proibita: erano i supporti materiali necessari per praticare i loro rituali clandestini. Ad esempio delle statuette raffiguranti la dea Kannon, prodotte in massa in Cina, vennero scelte dai cristiani che vivevano in clandestinità per rappresentare la Vergine Maria. I senpuku kirishitan (i cristiani clandestini) la chiamavano Hanta Maruya. Nella mostra si trova esposta anche la copia di un’orecchia di mare proveniente dal Museo della chiesa di Dōzaki, ovvero una conchiglia riportante l'iscrizione «San Givan». Si ritiene che il nome «San Givan» indichi proprio san Giovanni Battista. I senpuku kirishitan intravedevano la figura del santo nei riflessi che risplendono nella parte interna della conchiglia. Fu così che queste orecchie di mare, già utilizzate in passato come vera e propria moneta di scambio — non è un caso se in giapponese il verbo comprare, kau, viene scritto con il simbolo di una conchiglia — iniziarono a essere tramandate in vari luoghi come oggetti di devozione. Oggi numerosi fedeli arrivano in pellegrinaggio su questi luoghi, ma non solo cristiani; il recupero materiale e culturale di questi siti riporta non solo pace, bellezza e armonia ma perfino turisti e nuovi fedeli.
L'Osservatore Romano, 22 novembre 2015