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Italia
Concluso il convegno ecclesiale italiano. Chiamati a un nuovo inizio
L'Osservatore Romano
La Chiesa in Italia è chiamata a un nuovo inizio. È quanto ha detto il cardinale arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), che questa mattina ha concluso a Firenze il quinto convegno ecclesiale nazionale. Cinque giorni di lavori, con 2.200 delegati diocesani e oltre duecento vescovi, sul tema «In Gesù il nuovo umanesimo». Giornate segnate in maniera indelebile dalla visita compiuta martedì 10 da Papa Francesco.
E proprio alle parole pronunciate in quella occasione dal Pontefice ha fatto più di una volta riferimento il presidente della Cei. «Il Santo Padre, nel discorso programmatico che ci ha rivolto martedì scorso nella cattedrale di Firenze, ci ha mostrato lo spirito e le coordinate fondamentali che si attende dalla nostra Chiesa. Ci ha chiesto autenticità e gratuità, spirito di servizio, attenzione ai poveri, capacità di dialogo e di accoglienza; ci ha esortati a prendere il largo con coraggio e a innovare con creatività, nella compagnia di tutti coloro che sono animati da buona volontà», ha sintetizzato Bagnasco, il quale ha poi sottolineato che «il testo del Santo Padre andrà meditato con attenzione, quale premessa per riprendere, su suo invito, l’esortazione apostolica Evangelii gaudium nelle nostre comunità e nei gruppi di fedeli, fino a trarre da essa criteri pratici con cui attuarne le disposizioni».
Per il porporato, l’assise fiorentina ha rappresentato qualcosa di innovativo nella tradizione ecclesiale italiana del post-concilio. Il convegno costituisce, infatti, «un nuovo punto di partenza per il cammino delle nostre comunità e dei singoli credenti». In questo senso, ha aggiunto, «sarebbe parziale affermare che la Chiesa italiana ha celebrato in questi giorni il suo quinto convegno ecclesiale; ben di più, essa ha scelto di assumere il percorso del convegno e di mettersi in gioco, in un impegno di conversione finalizzato a individuare le parole più efficaci, le categorie più consone e i gesti più autentici attraverso i quali portare il Vangelo nel nostro tempo agli uomini di oggi».
Lo stile intrapreso è quello del «cammino sinodale», che «ci fa sentire responsabili gli uni degli altri», attraverso una dinamica «che si estende anche oltre la comunità cristiana e raggiunge tutte le persone, fino alle più lontane, ben sapendo — ha detto Bagnasco citando il discorso del Pontefice a Prato — che “non esistono lontani che siano troppo distanti, ma soltanto prossimi da raggiungere”». In altri termini, la «ricostruzione dell’umano», ha rimarcato il presidente della Cei con riferimento al tema del convegno, «passa da un’attenta conoscenza delle dinamiche e dei bisogni del nostro mondo, quindi dall’impegno a un’inclusione sociale che ha a cuore innanzitutto i poveri. Tale impegno operoso muove da un costante riferimento alla persona di Gesù Cristo, modello e maestro di umanità, che dell’uomo è il prototipo e il compimento». Sulla scorta ancora delle parole del Pontefice a Firenze — «Possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in lui i tratti del volto autentico dell’uomo» — Bagnasco sottolinea come spetti alla comunità cristiana «mostrare a tutti l’infinito tesoro racchiuso» nella persona di Gesù. «Lasciamoci guardare da Lui, misericordiae vultus, consapevoli che la condizione primaria di ogni riforma della Chiesa richiede di essere radicati in Cristo». Anche perché, nel mondo attuale «spesso così esposto al rischio dell’autosufficienza o alla tentazione di ridurre Dio ad astratta ideologia, l’esistenza di Gesù, fattasi dono perfetto, rappresenta l’antidoto più efficace».
L’indicazione, e dunque il cuore delle «prospettive» delineate dal presidente della Cei, è quella di una Chiesa chiamata «a vivere in uno stato di continua missione» e che «vuole riaffermare affettuosa vicinanza e operosa dedizione» al Pontefice. Di qui, anche alcune «sottolineature» che riassumono i risultati del convegno attraverso l’analisi delle cinque “vie” congressuali (uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare). In primo luogo, «non basta essere accoglienti: dobbiamo per primi muoverci verso l’altro, perché il prossimo da amare non è colui che ci chiede aiuto, ma colui del quale ci siamo fatti prossimi. Dobbiamo uscire e creare condivisione e fraternità: le nostre comunità e associazioni, i gruppi e i singoli cristiani, vivano sempre con questo spirito missionario». Il passaggio successivo consiste «nell’annunciare la persona e le parole del Signore, secondo le modalità più adatte perché, senza l’annuncio esplicito, l’incontro e la testimonianza rimangono sterili o quantomeno incompleti». La terza tappa della missione «consiste nell’abitare, termine con il quale ci richiamiamo a una presenza dei credenti sul territorio e nella società, secondo un impegno concreto di cittadinanza», che non riguarda soltanto l’attività politica e amministrativa in senso stretto, ma anche un attivo interessamento alle diverse problematiche sociali. A tale proposito, «anche alla luce di recenti fatti di cronaca», il porporato ha ribadito che «l’impegno del cattolico nella sfera pubblica deve testimoniare coerenza e trasparenza». A ciò si aggiunge il compito di educare, «per rendere gli atti buoni non un elemento sporadico, ma virtù, abitudini della persona, modi di agire e di pensare stabili, patrimonio in cui la persona si riconosce».
Tutti questi passaggi sono poi tesi a «trasfigurare le persone e le relazioni, interpersonali e sociali». Infatti, «il messaggio evangelico, se accolto e fatto proprio dalle diverse realtà umane, trasfigura, scardinando le strutture di peccato e di oppressione, facendo sì che l’umanesimo appreso da Cristo diventi concreto e vita delle persone».
L'Osservatore Romano, 14 novembre 2015.