Italia
L'Osservatore Romano
(Marcello Filotei) Il fatto che al Papa piaccia particolarmente la Crocifissione bianca di Marc Chagall è ininfluente. La decisione di una scuola fiorentina di cancellare la visita dei ragazzi delle medie alla mostra intitolata «Bellezza divina» per «venire incontro alla sensibilità delle famiglie non cattoliche» sarebbe stata discutibile anche se fossero state esposte opere di Teomondo Scrofalo, l’immaginario pittore kitsch su cui era incentrato un fortunato sketch comico degli anni Ottanta. Invece in mostra a Firenze, oltre al celebre dipinto ispirato alla persecuzione degli ebrei nell’Europa centrale e orientale, c’erano opere di Fontana, Picasso, Matisse e Van Gogh. Capolavori inseriti in un filone artistico che ha segnato e segna il pensiero culturale di un’intera civiltà.
La notizia della mancata visita, smentita in parte dal preside della scuola, riapre una questione di carattere generale legata alla difficoltà che spesso si riscontra nella promozione dei valori costitutivi della tradizione occidentale.
Se i simboli di un patrimonio culturale radicato indissolubilmente nella tradizione ebraico-cristiana turbano le sensibilità dei «non cristiani», qual è il compito della scuola? Quello di indagare questo turbamento o di evitare la questione evitando che alcuni allievi entrino in contatto con i simboli cristiani? E poi, anche volendo, chi vive a Firenze o più in generale in Italia e in Europa, potrà evitare di incontrare chiese, battisteri, statue che rappresentano santi, crocifissi che dominano piazze e città, o semplicemente un’edicola votiva di nessun valore artistico piazzata in un angolo qualsiasi di una strada qualunque?
Del resto non sarebbe nemmeno particolarmente utile. Quando il Papa dichiara che la Pietà di Michelangelo non si può vendere perché «è patrimonio dell’umanità», non sta lamentandosi sull’impossibilità di fare cassa con i capolavori presenti in Vaticano, ma segnala il valore universale della cultura cristiana. Il compito di un insegnante allora è quello di spiegare cosa significa quell’opera, e l’influenza che ha avuto e ha nella storia e nella vita di ognuno.
I capolavori parlano a noi oggi, per questo vanno ammirati e per questo non si possono vendere: non esistono cifre che possano acquistare un messaggio universale. Il concetto, ovviamente, è chiaro all’imam Izzedin Elzir, capo della comunità islamica fiorentina e presidente dell’Ucoii, che si è affrettato a dichiarare la sua intenzione di visitare, con i figli, la mostra «perché la bellezza e l’arte sono uno strumento per capire la diversità».
La questione, però, non riguarda solo la spesso invocata reciprocità, cioè la richiesta ai credenti in altre fedi di dimostrare la stessa disponibilità ad accettare l’altro che caratterizza i cristiani, ma anche la capacità di rivendicare, nel bene e nel male, il valore di una cultura.
Evitando di generare la fobia del fortino assediato, atteggiamento che nega in radice i valori che si pretende di difendere, e puntando sulla forza di una visione del mondo rivoluzionaria, fatta anche di simboli che hanno generato opere d’arte in grado di parlare a donne e uomini di qualsiasi religione.
L'Osservatore Romano, 14 novembre 2015.
La notizia della mancata visita, smentita in parte dal preside della scuola, riapre una questione di carattere generale legata alla difficoltà che spesso si riscontra nella promozione dei valori costitutivi della tradizione occidentale.
Se i simboli di un patrimonio culturale radicato indissolubilmente nella tradizione ebraico-cristiana turbano le sensibilità dei «non cristiani», qual è il compito della scuola? Quello di indagare questo turbamento o di evitare la questione evitando che alcuni allievi entrino in contatto con i simboli cristiani? E poi, anche volendo, chi vive a Firenze o più in generale in Italia e in Europa, potrà evitare di incontrare chiese, battisteri, statue che rappresentano santi, crocifissi che dominano piazze e città, o semplicemente un’edicola votiva di nessun valore artistico piazzata in un angolo qualsiasi di una strada qualunque?
Del resto non sarebbe nemmeno particolarmente utile. Quando il Papa dichiara che la Pietà di Michelangelo non si può vendere perché «è patrimonio dell’umanità», non sta lamentandosi sull’impossibilità di fare cassa con i capolavori presenti in Vaticano, ma segnala il valore universale della cultura cristiana. Il compito di un insegnante allora è quello di spiegare cosa significa quell’opera, e l’influenza che ha avuto e ha nella storia e nella vita di ognuno.
I capolavori parlano a noi oggi, per questo vanno ammirati e per questo non si possono vendere: non esistono cifre che possano acquistare un messaggio universale. Il concetto, ovviamente, è chiaro all’imam Izzedin Elzir, capo della comunità islamica fiorentina e presidente dell’Ucoii, che si è affrettato a dichiarare la sua intenzione di visitare, con i figli, la mostra «perché la bellezza e l’arte sono uno strumento per capire la diversità».
La questione, però, non riguarda solo la spesso invocata reciprocità, cioè la richiesta ai credenti in altre fedi di dimostrare la stessa disponibilità ad accettare l’altro che caratterizza i cristiani, ma anche la capacità di rivendicare, nel bene e nel male, il valore di una cultura.
Evitando di generare la fobia del fortino assediato, atteggiamento che nega in radice i valori che si pretende di difendere, e puntando sulla forza di una visione del mondo rivoluzionaria, fatta anche di simboli che hanno generato opere d’arte in grado di parlare a donne e uomini di qualsiasi religione.
L'Osservatore Romano, 14 novembre 2015.