Francia
L’episcopato francese e l’accoglienza dei sacerdoti stranieri.Un dono benvenuto
L'Osservatore Romano
L’episcopato francese e l’accoglienza dei sacerdoti stranieri.Un dono benvenuto
L'Osservatore Romano
(Giovanni Zavatta) In Francia rappresentano ormai più del 10 per cento dei sacerdoti, ovvero circa millesettecento su (quasi) sedicimila, dei quali un migliaio africani, i più numerosi davanti a vietnamiti e polacchi. In alcune diocesi superano il 40 per cento dei presbiteri in attività. Sono i prêtres venus d’ailleurs, i preti stranieri, molti di essi fidei donum, ai quali la Conferenza episcopale francese ha da tempo dedicato uno specifico gruppo di lavoro presieduto dall’arcivescovo di Rouen, Dominique Lebrun.
La recente assemblea plenaria a Lourdes è stata l’occasione per fare il punto della situazione, soprattutto per sentire il vescovo di Mbujimayi, Bernard-Emmanuel Kasanda Mulenga, che dalla Repubblica Democratica del Congo invia ogni anno in Europa una cinquantina di sacerdoti (sui duecentoventicinque complessivi), di cui dodici attualmente in Francia. Sono il volto missionario della Chiesa cattolica, e dunque universale: «In colui che parte c’è l’entusiasmo di aprirsi al mondo, dell’arricchimento morale e psicologico», ha detto monsignor Kasanda Mulenga, ma non mancano «lacerazioni» e «disillusioni» per il fatto di ritrovarsi in un mondo secolarizzato. Uno “choc culturale”, lo definisce monsignor Lebrun. C’è da lavorare molto sull’accoglienza dei sacerdoti nelle comunità, nel primo anno del loro soggiorno, anche attraverso corsi sulla realtà che troveranno. Al riguardo l’arcivescovo sta preparando delle specifiche raccomandazioni, affinché una Chiesa povera di vocazioni come quella francese (circa la metà dei sacerdoti ha più di 75 anni) faccia fruttare al meglio i doni di fede venuti dall’Africa.
«Inviare dei preti per una ragione pastorale — ha affermato il vescovo di Mbujimayi — è un impegno missionario normale per le Chiese africane davanti a un’altra Chiesa che ha penuria di sacerdoti, come la Francia, poiché una Chiesa particolare diviene sterile se non dà nulla alle Chiese sorelle. La Chiesa che si ripiega su di sé muore. Sarebbe contro la sua stessa natura. La crisi di vocazioni sacerdotali in Francia crea inquietudine, i cristiani praticanti si domandano come il popolo di Dio sarà nutrito nei decenni a venire». In tale contesto, «il prete fidei donum è una risposta, al tempo stesso temporanea e permanente, all’angoscia che attraversa gran parte dei fedeli francesi. Poiché, anche se un giorno, quella Chiesa oggi interessata dalla carenza di presbiteri arriverà ad averne molti, avrà sempre bisogno di questa étrangeté che rivela la cattolicità della nostra Chiesa». Tuttavia, secondo Kasanda Mulenga, affinché questo “scambio” si realizzi nel migliore dei modi sono necessarie alcune condizioni. La prima, la più importante, è la qualità dell’accoglienza da cui dipendono l’efficacia dell’esperienza di fede e la sua completa realizzazione, dando per scontato l’autentico spirito missionario del candidato prescelto: «Il vescovo che invia si aspetta che il suo sacerdote sia ricevuto bene, che l’accoglienza gli permetta in seguito uno sviluppo personale, umano, intellettuale; così un prete che torna nella sua diocesi sarà in possesso di una grande esperienza vissuta all’estero». Ma una buona integrazione dipende da molti fattori: da una parte l’atteggiamento, i sentimenti di chi accoglie (è sempre in agguato il rischio di un certo scetticismo, di un complesso di superiorità, della coscienza di appartenere sociologicamente al gruppo dominante), dall’altra l’apprensione dell’inviato di fronte allo sconosciuto, all’imprevedibile. A Lourdes il vescovo africano ha proposto un percorso: un primo periodo durante il quale un sacerdote della diocesi di accoglienza affiancherà il fidei donum come guida e tutor, mentre, contemporaneamente, un’équipe di religiosi lo informerà periodicamente sulla vita sociale e pastorale della diocesi e della parrocchia di destinazione; una seconda fase in cui verrà organizzato un vero e proprio corso di formazione su tutte le materie legate allo Stato, alla società, alla Chiesa in Francia, dalla storia al magistero, alla liturgia. Prima e dopo «occorrerà che il vescovo incontri i sacerdoti a lui affidati e definisca chiaramente la missione». Da tempo, comunque, il Servizio nazionale per la missione universale della Chiesa dedica una delle sue iniziative, Session Welcome, proprio a rendere familiare la realtà francese a presbiteri e religiosi venuti dall’estero in servizio pastorale.
E c’è chi, come padre Frédéric Hounkponou, 33 anni, dell’arcidiocesi di Cotonou, in Benin, ha scelto l’estate scorsa di visitare la Francia e di scoprire la Chiesa locale, in particolare quella di Digione. Un’iniziativa personale, sostenuta dal suo vescovo, per conoscere proposte pastorali nuove. Una “visitazione” da Chiesa a Chiesa.
Dal canto loro i presuli francesi hanno fatto emergere, durante la plenaria, luci e ombre. Se il vescovo di Chartres, Michel Pansard, si rallegra di vedere riuniti ogni due mesi i sacerdoti stranieri della sua diocesi («hanno una reale capacità di aiutarsi a vicenda quando sorgono delle difficoltà»), il vescovo di Evry-Corbeil-Essonnes, Michel Dubost, lamenta casi di preti senza protezione sociale nel loro Paese di origine («alcuni arrivano malati e non ce lo dicono») e auspica di trovare una soluzione anche alla questione dei soldi che molti cercano di inviare alla loro famiglia o alla loro diocesi. Chiede consigli il vescovo ausiliare di Rennes, Nicolas Souchu: «Davanti all’autorità, quando si domanda loro come va, va sempre bene, anche quando sappiamo che così non è. Sono molto a disagio, perché non sempre so cosa fare». E non mancano situazioni caratterizzate da mancanza di comunicazione con il prêtre venu d’ailleurs o con il vescovo che l’ha inviato, e, nell’ondata migratoria in corso, addirittura casi di sacerdoti sans papier. Monsignor Lebrun e il suo gruppo di lavoro, giunto alla fine del mandato, forniranno presto risposte e indicazioni precise.
L'Osservatore Romano, 14 novembre 2015.