Europa
In Svizzera e nel Regno Unito. Chi ha paura del messaggio cristiano
L'Osservatore Romano
In Svizzera e nel Regno Unito. Chi ha paura del messaggio cristiano
L'Osservatore Romano
(Giovanni Zavatta) In un periodo storico drammatico, dove il terrorismo di matrice islamica ha allungato i suoi tentacoli fin nel cuore dell’Europa, il messaggio cristiano esorta a non perdere la speranza, a confidare sul dialogo come strumento per arrivare alla pace. Eppure, nella stessa Europa, sempre più secolarizzata, quel messaggio sembra essere percepito come un problema, e la religione cristiana fatica a garantire il suo ruolo nello spazio pubblico. Gli ultimi esempi vengono dal Regno Unito e dalla Svizzera.
Nel primo caso le tre principali catene di cinema (Odeon, Cineworld e Vue), che controllano l’ottanta per cento delle proiezioni nel Paese, si sono rifiutate di diffondere una pubblicità promossa dalla Church of England — sessanta secondi in tutto — nella quale l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, primate della Comunione anglicana, e altre persone (fra cui bambini e rifugiati), di ogni ceto sociale, recitano la preghiera del Padre Nostro. Potrebbe «offendere o ferire, involontariamente o meno», la sensibilità degli spettatori di fede non cristiana, agnostici o atei, ha sentenziato l’agenzia Digital Cinema Media, che gestisce la pubblicità per quelle catene cinematografiche, dichiarando di non accettare spot con contenuto politico o religioso.
La pubblicità doveva essere proiettata a partire dal 18 dicembre prima della proiezione dell’ultimo episodio di una nota saga fantascientifica. «Trovo incredibile che dei cinema considerino inappropriato il passaggio di una pubblicità sulla preghiera la settimana prima di Natale, quando celebriamo la nascita di Gesù Cristo», ha dichiarato Welby al «Mail on Sunday», ricordando che miliardi di individui in tutto il mondo recitano il Padre Nostro ogni giorno. «Penso che rimarrebbero stupiti e profondamente rattristati per questa decisione, in particolare alla luce degli attacchi terroristici di Parigi dove tante persone hanno trovato conforto e consolazione nella preghiera», ha aggiunto.
Il video aveva ricevuto il via libera da parte dell’autorità garante della pubblicità nel Regno Unito, a giudizio della quale esso non viola alcuna norma né manca di rispetto a qualcuno. Ma la censura preventiva è arrivata lo stesso e sconcerta la Church of England. Il reverendo Arun Arora, direttore delle comunicazioni, ha parlato di una decisione «semplicemente stupida» ma anche platealmente discriminatoria della libertà d’espressione: «Il Padre Nostro fa parte della vita del nostro Paese da secoli, la preghiera accompagna la vita di tante persone nei loro momenti più bui».
In Svizzera invece sta suscitando viva inquietudine fra i cattolici e i protestanti la decisione, presa il 17 novembre dalla direzione della Radio televisione svizzera (Rts), di sopprimere dal 2017 ben tre dei suoi programmi religiosi. Una scelta imposta da tagli al bilancio per complessivi 11,4 milioni di franchi. A farne le spese saranno in particolare i magazine Faut pas croire in tv, Hautes fréquences e À vue d’esprit alla radio. «Nel momento in cui la necessità di trattare il fatto religioso nell’informazione si manifesta attraverso i tragici avvenimenti di Parigi, tale misura è inopportuna e sproporzionata», scrivono in un comunicato Bernard Litzler e Michel Kocher, direttori rispettivamente di Cath-Info (cattolica) e di Médias-pro (protestante), che per conto di Rts hanno la responsabilità di quelle trasmissioni. Giornalisti e tecnici, dicono, «sono scioccati. Non comprendono perché un lavoro e una collaborazione editoriale unici in Svizzera siano così massicciamente e unilateralmente smantellati, per un probabile taglio di posti di lavoro».
A colpire è soprattutto la sproporzione, il “taglio lineare” rispetto ad altre programmazioni dell’emittente. È come se France 2 decidesse di sopprimere Le Jour du Seigneur (storica trasmissione che va in onda dal 1949), commenta il quotidiano «Le Figaro», sottolineando le numerose reazioni seguite all’annuncio. E «la Croix» si chiede se si vada verso «un’accelerazione della laicizzazione audiovisiva».
Sulla vicenda è fra gli altri intervenuto il vescovo ausiliare di Lausanne, Genève et Fribourg, Alain de Raemy, incaricato dei media per conto della Conferenza episcopale: la soppressione dei programmi «avrà conseguenze sulla trattazione degli argomenti religiosi sui mezzi di comunicazione del servizio pubblico francofono in Svizzera» e «potrebbe provocare perdite di impiego per i giornalisti impegnati nel servizio ecumenico assicurato da Cath-Info e da Médias-pro». Monsignor de Raemy, oltre a manifestare la propria solidarietà, «come vescovo incaricato di incoraggiare una presenza cattolica, aperta ed ecumenica in tutti i media», esprime la sua «inquietudine» poiché «è in gioco il posto che si dà alla dimensione religiosa dell’uomo in tempi in cui la religione è così spesso, e in maniere diverse, di attualità». E sottolinea «l’importanza del servizio pubblico anche per ciò che concerne la dimensione spirituale ed ecumenica della nostra cultura e del nostro futuro».
Ugualmente preoccupata è la Federazione delle Chiese protestanti che, in una nota, si dice «costernata» per l’annuncio della Radio televisione svizzera. «Queste trasmissioni offrono un’analisi di qualità degli argomenti religiosi, spirituali e filosofici. In una società sempre più divisa fra incultura religiosa e fondamentalismo, offrire un tale sguardo è indispensabile per un media del servizio pubblico», si afferma, ricordando che le redazioni di Cath-Info e di Médias-pro «non trattano solo l’attualità cattolica o protestante ma l’insieme delle notizie legate al religioso, in maniera critica e obiettiva». Ancora più dura la reazione del Consiglio esecutivo della Conferenza delle Chiese riformate della Svizzera romanda, secondo cui «questa decisione unilaterale della Rts fa parte di un anticlericalismo limitato che considera le religioni all’origine della violenza e che dunque bisogna bandire dallo spazio pubblico. Va fatto invece tutto il contrario. Quando sono integrate e riconosciute, le religioni contribuiscono a lottare contro le derive settarie».
Faut pas croire è un programma settimanale di ventisei minuti destinato al grande pubblico. Va in onda la domenica alle 12.05 sul primo canale tv di Rts. Affronta, con dibattiti e reportage, le questioni etiche, filosofiche e religiose presenti nella società, con l’obiettivo di «decriptare gli avvenimenti di attualità interrogando l’umano in tutte le sue dimensioni». I magazine Hautes fréquences e À vue d’esprit sono invece trasmessi alla radio (rispettivamente su La Première e su Espace 2) e sono all’ascolto di tutto ciò che succede nel mondo complesso delle religioni poiché, «contrariamente all’idea di un mondo immobile e immutabile, la spiritualità è in perpetuo movimento».
Il partenariato editoriale fra Rts, Cath-Info e Médias-pro risale al 1964 e, dai primi anni del 2000, si è esteso a coprire anche l’ambito interreligioso. «In un’epoca in cui la radicalizzazione religiosa è all’opera e i ripiegamenti identitari sono una tendenza naturale, questa scelta editoriale della direzione dei programmi della Rts — concludono Litzler e Kocher — è incomprensibile». La Radio televisione svizzera ha replicato che continuerà a trattare la tematica religiosa all’interno di altre trasmissioni di attualità e che, comunque, le modalità programmatiche e finanziarie del bilancio saranno negoziate nel 2016.
L'Osservatore Romano, 24 novembre 2015
Nel primo caso le tre principali catene di cinema (Odeon, Cineworld e Vue), che controllano l’ottanta per cento delle proiezioni nel Paese, si sono rifiutate di diffondere una pubblicità promossa dalla Church of England — sessanta secondi in tutto — nella quale l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, primate della Comunione anglicana, e altre persone (fra cui bambini e rifugiati), di ogni ceto sociale, recitano la preghiera del Padre Nostro. Potrebbe «offendere o ferire, involontariamente o meno», la sensibilità degli spettatori di fede non cristiana, agnostici o atei, ha sentenziato l’agenzia Digital Cinema Media, che gestisce la pubblicità per quelle catene cinematografiche, dichiarando di non accettare spot con contenuto politico o religioso.
La pubblicità doveva essere proiettata a partire dal 18 dicembre prima della proiezione dell’ultimo episodio di una nota saga fantascientifica. «Trovo incredibile che dei cinema considerino inappropriato il passaggio di una pubblicità sulla preghiera la settimana prima di Natale, quando celebriamo la nascita di Gesù Cristo», ha dichiarato Welby al «Mail on Sunday», ricordando che miliardi di individui in tutto il mondo recitano il Padre Nostro ogni giorno. «Penso che rimarrebbero stupiti e profondamente rattristati per questa decisione, in particolare alla luce degli attacchi terroristici di Parigi dove tante persone hanno trovato conforto e consolazione nella preghiera», ha aggiunto.
Il video aveva ricevuto il via libera da parte dell’autorità garante della pubblicità nel Regno Unito, a giudizio della quale esso non viola alcuna norma né manca di rispetto a qualcuno. Ma la censura preventiva è arrivata lo stesso e sconcerta la Church of England. Il reverendo Arun Arora, direttore delle comunicazioni, ha parlato di una decisione «semplicemente stupida» ma anche platealmente discriminatoria della libertà d’espressione: «Il Padre Nostro fa parte della vita del nostro Paese da secoli, la preghiera accompagna la vita di tante persone nei loro momenti più bui».
In Svizzera invece sta suscitando viva inquietudine fra i cattolici e i protestanti la decisione, presa il 17 novembre dalla direzione della Radio televisione svizzera (Rts), di sopprimere dal 2017 ben tre dei suoi programmi religiosi. Una scelta imposta da tagli al bilancio per complessivi 11,4 milioni di franchi. A farne le spese saranno in particolare i magazine Faut pas croire in tv, Hautes fréquences e À vue d’esprit alla radio. «Nel momento in cui la necessità di trattare il fatto religioso nell’informazione si manifesta attraverso i tragici avvenimenti di Parigi, tale misura è inopportuna e sproporzionata», scrivono in un comunicato Bernard Litzler e Michel Kocher, direttori rispettivamente di Cath-Info (cattolica) e di Médias-pro (protestante), che per conto di Rts hanno la responsabilità di quelle trasmissioni. Giornalisti e tecnici, dicono, «sono scioccati. Non comprendono perché un lavoro e una collaborazione editoriale unici in Svizzera siano così massicciamente e unilateralmente smantellati, per un probabile taglio di posti di lavoro».
A colpire è soprattutto la sproporzione, il “taglio lineare” rispetto ad altre programmazioni dell’emittente. È come se France 2 decidesse di sopprimere Le Jour du Seigneur (storica trasmissione che va in onda dal 1949), commenta il quotidiano «Le Figaro», sottolineando le numerose reazioni seguite all’annuncio. E «la Croix» si chiede se si vada verso «un’accelerazione della laicizzazione audiovisiva».
Sulla vicenda è fra gli altri intervenuto il vescovo ausiliare di Lausanne, Genève et Fribourg, Alain de Raemy, incaricato dei media per conto della Conferenza episcopale: la soppressione dei programmi «avrà conseguenze sulla trattazione degli argomenti religiosi sui mezzi di comunicazione del servizio pubblico francofono in Svizzera» e «potrebbe provocare perdite di impiego per i giornalisti impegnati nel servizio ecumenico assicurato da Cath-Info e da Médias-pro». Monsignor de Raemy, oltre a manifestare la propria solidarietà, «come vescovo incaricato di incoraggiare una presenza cattolica, aperta ed ecumenica in tutti i media», esprime la sua «inquietudine» poiché «è in gioco il posto che si dà alla dimensione religiosa dell’uomo in tempi in cui la religione è così spesso, e in maniere diverse, di attualità». E sottolinea «l’importanza del servizio pubblico anche per ciò che concerne la dimensione spirituale ed ecumenica della nostra cultura e del nostro futuro».
Ugualmente preoccupata è la Federazione delle Chiese protestanti che, in una nota, si dice «costernata» per l’annuncio della Radio televisione svizzera. «Queste trasmissioni offrono un’analisi di qualità degli argomenti religiosi, spirituali e filosofici. In una società sempre più divisa fra incultura religiosa e fondamentalismo, offrire un tale sguardo è indispensabile per un media del servizio pubblico», si afferma, ricordando che le redazioni di Cath-Info e di Médias-pro «non trattano solo l’attualità cattolica o protestante ma l’insieme delle notizie legate al religioso, in maniera critica e obiettiva». Ancora più dura la reazione del Consiglio esecutivo della Conferenza delle Chiese riformate della Svizzera romanda, secondo cui «questa decisione unilaterale della Rts fa parte di un anticlericalismo limitato che considera le religioni all’origine della violenza e che dunque bisogna bandire dallo spazio pubblico. Va fatto invece tutto il contrario. Quando sono integrate e riconosciute, le religioni contribuiscono a lottare contro le derive settarie».
Faut pas croire è un programma settimanale di ventisei minuti destinato al grande pubblico. Va in onda la domenica alle 12.05 sul primo canale tv di Rts. Affronta, con dibattiti e reportage, le questioni etiche, filosofiche e religiose presenti nella società, con l’obiettivo di «decriptare gli avvenimenti di attualità interrogando l’umano in tutte le sue dimensioni». I magazine Hautes fréquences e À vue d’esprit sono invece trasmessi alla radio (rispettivamente su La Première e su Espace 2) e sono all’ascolto di tutto ciò che succede nel mondo complesso delle religioni poiché, «contrariamente all’idea di un mondo immobile e immutabile, la spiritualità è in perpetuo movimento».
Il partenariato editoriale fra Rts, Cath-Info e Médias-pro risale al 1964 e, dai primi anni del 2000, si è esteso a coprire anche l’ambito interreligioso. «In un’epoca in cui la radicalizzazione religiosa è all’opera e i ripiegamenti identitari sono una tendenza naturale, questa scelta editoriale della direzione dei programmi della Rts — concludono Litzler e Kocher — è incomprensibile». La Radio televisione svizzera ha replicato che continuerà a trattare la tematica religiosa all’interno di altre trasmissioni di attualità e che, comunque, le modalità programmatiche e finanziarie del bilancio saranno negoziate nel 2016.
L'Osservatore Romano, 24 novembre 2015